Mirko Retto
Di Antonio Vistocco
Mi hai chiesto una presentazione. Mi sembra giusto, sono un perfetto sconosciuto (tranne che sul mio pianerottolo, dove sono una leggenda).
Sono nato a Bolzano, e questo spiega perché io usi tanti nomi che a qualsiasi italiano suonano come ‘stranieri’. Per me non lo sono. Sono nato e cresciuto, circondato da stranieri, ed io stesso lo sono per quasi tutti loro. Parlare della mia città sarebbe molto interessante – anche se non ho intenzione di farlo – perché in realtà tutti l’hanno sentita nominare ma nessuno, fuori di qui, la conosce realmente. In questa città, quando avevo 10 anni, una mattina mi sono svegliato con la parte sinistra del collo gonfia e dura come un mattone. Un medico disse che non c’era niente da fare se non rassegnarsi. Sono rimasto in ospedale per 1 mese. Due volte al giorno, un’infermiera grassa e bugiarda entrava nella mia stanza nascondendo dietro la schiena una siringa caricata a penicillina. Oggi ho quasi 46 anni, quindi in un certo senso ne ho fregati 36 alla Morte, che immagino debba essere un bel po’ incazzata, per questo. Ti racconto questa cosa solo per sottolineare come ognuno di noi sia il prodotto di ciò che gli accade, e che presentarsi o definirsi non ha alcun senso o valore, almeno per me. Nemmeno il mio nome, è il mio nome vero. E non perché sia uno pseudonimo, ma per una storia molto più vecchia e più lunga che ti porterebbe via troppe pagine.
Che anno correva quando hai scritto il tuo primo libro?
Ho pubblicato le prime cose quando avevo 23, 24 anni. Poesie su riviste, molte delle quali nella mia città non uscivano neppure. Un paio di pessimi libri che ormai sono sepolti da qualche parte in una fossa comune. Una volta mi diedero un premio ad un concorso, ma non andai a ritirarlo perché non si trattava di soldi. Con questo non voglio dire che io sia attaccato al denaro, ma solo che ad un ragazzo di 24 anni interessa avere qualcosa da spendere di sera nei locali, piuttosto che qualcosa d’appendere sul muro di casa. Ho spedito materiale a decine di case editrici, ricevendone solo rifiuti. A quel punto, ho continuato a scrivere ma senza più cercare di pubblicare niente. Non perché mi sentissi offeso, incompreso o cazzate del genere. Ma solo perché avevo cose più interessanti da fare, anche se la maggior parte della gente non la penserebbe così.
Che genere, di cose?
Ti risponderò con un piccolo aneddoto. Qualche anno fa, sulla piattaforma dove si trovano i miei libri, una ragazza ha lasciato un commento entusiasta riguardo ad un paio dei miei libri. Si trattava di libri di poesia. Le piacevano molto, e concludeva chiedendomi: “Ma dove sei rimasto nascosto, tutto questo tempo?!” “Al bar” le ho risposto. Ha commentato con una risata, ma non era affatto una battuta. Dai 20 ai 35 anni ho trascorso più tempo nei bar che in qualsiasi altro posto. Là ho conosciuto le persone peggiori e quelle più interessanti. In quei tugùri ho ascoltato le storie più tristi, divertenti e sincere che abbia mai sentito. Naturalmente c’ho rimediato anche un bel po’ di donne, di solito piene di problemi che spuntavano fuori appena svaniva l’effetto dell’alcol. Tutto questo – e altro che non ho lo spazio per dirti – ha fatto sì che non pensassi più a pubblicare fino al 2008.
Come è arrivata la decisione di prendere in mano la penna?
Non ne ho idea. Voglio dire, non credo si sia trattato di una decisione cosciente. Penso dipenda dal fatto di non essere un animale molto sociale (e socievole). Tolti gli autori di genere che possono contare sulla propria fantasia, sono convinto che se uno ha abbastanza persone con le quali parlare, interagire o fare dei viaggi, non senta alcuna necessità di scrivere. A parte qualche cartolina di saluti o di buon compleanno. L’aspetto più interessante
della tua domanda è l’aver usato l’espressione ‘prendere in mano la penna’, che è un modo di dire, ma che oggi suona quasi vuota, tra computer, tablet e tutto il resto. In realtà io scrivo proprio a penna, di solito su foglietti di carta pieni zeppi di lettere o simboli per ricordarmi dove finisce un pezzo e dove inizia l’altro. Molti scrittori lavorano direttamente al pc, con precisione chirurgica e un ordine da regime dittatoriale, stabilendo anche orari precisi che rispettano rigorosamente. Non so, come facciano. In un certo senso li ammiro per questo, ma personalmente sarebbe come ricordarsi di prendere una medicina o stabilire dei turni per scopare con la tua donna.
Come nasce questa tua scrittura e visione intimista?
In quello che scrivo non c’è niente d’intimista. A meno che tu ed io non attribuiamo a questo termine due significati diversi. Quasi tutto quello che scrivo arriva da esperienze personali, dirette o mediate che siano. Molte cose sono vere, nel senso che sono realmente accadute, altre invece sono verosimili, nel senso che c’è un fondo di verità in partenza ma il resto è una mia interpretazione e/o rielaborazione. Ho sufficiente immaginazione per soffrire, ma non abbastanza per inventare ciò che scrivo. Di conseguenza posso ammettere che si tratti in larga parte di materiale autobiografico, per usare un’espressione comune, ma non intimista. Intimista mi fa pensare ad uno che aiuti una vecchia signora ad attraversare la strada mentre le sfila il portafoglio dalla tasca del cappotto.
Nonostante i tuoi libri siano fortemente autobiografici, non ami apparire e sei molto schivo. Rarissime, poi, le foto che ti ritraggono. Come mai?
Non sono una persona socievole. Questo è un dato di fatto. Ma per risponderti in maniera più precisa, posso dire che vedere la faccia di uno che ha scritto un libro non toglie e non aggiunge nulla, a quanto ha scritto. E lo stesso vale per quasi qualunque altra attività umana. Voglio dire, non mi frega se Mark Lanegan ha i denti bianchi o no, m’interessa solo ascoltare la miglior voce rock in circolazione. E poi la maggior parte delle facce sono davvero brutte. Anche la mia lo è. Questo non rappresenta certo un problema, per me. E’ un surplus. E’ stato un problema da ragazzino, semmai. Avevo una strana forma d’acne, macchie sulla fronte e sugli zigomi, al tatto non sentivi nulla perché non c’era niente da sentire o da schiacciare, ma potevi vedere quelle macchie a cento metri di distanza. Ricordo bene gli sguardi della gente per strada, e soprattutto delle ragazzine a scuola. Un’estate, un’ustione solare mi ha portato via due o tre strati di pelle. Sembravo un cazzo di alieno viola. Però quando la pelle si è riformata, anche le macchie erano sparite. Chi lo sa, forse inconsciamente sono ancora al loro vecchio posto.
Si tratta di un romanzo che ho scritto nel mese di Agosto. Inizialmente avrebbe dovuto essere un racconto da inserire in una raccolta, ma giorno dopo giorno la storia ha cominciato a svilupparsi e a reclamare molto più spazio di quello previsto. La storia è tutta nel titolo, in un certo senso, anche se il titolo può sembrare fuorviante e per alcuni di cattivo gusto. Come ho scritto nella prefazione sul sito, dentro ci sono risate e cose molto cattive, qualcosa che potrebbe sembrare una satira e qualcos’altro che potrebbe essere scambiato per fantascienza, soprattutto per via dello strano lavoro dei protagonisti. Dal mio punto di vista è solo la storia di un gruppo di uomini e donne molto diversi ma accomunati dall’aver a che fare con qualcosa di molto più grande di loro. Questo ‘qualcosa’ ha i suoi lati positivi e negativi, e tutti loro devono decidere quale di questi lati è il più importante, e agire di conseguenza. Mi rendo conto che come presentazione è pessima, ma raccontare la trama di un libro o il perché l’hai scritto è come mettersi a parlare d’amore: o finisci col confonderti sembrando drogato, o quel che dici svilisce l’argomento nel momento stesso in cui apri bocca.
Su quale piattaforma si può acquistare, insieme agli altri libri? E di che genere di piattaforma si tratta?
La piattaforma è ilmiolibro.it
Sono parecchi anni che è attiva e credo sia ormai molto conosciuta, perlomeno tra gli addetti ai lavori. Non dimenticare che stiamo parlando di libri nel 2016, il che equivale quasi a parlare dell’estinzione del dodo o della traduzione del Manoscritto Voynich. E’ una piattaforma che ti concede enorme libertà per quanto riguarda i contenuti di ciò che scrivi e la forma finale che avrà il tuo lavoro, sia che si parli di carta come di ebook. Permette di pubblicare quando le grandi case editrici – per svariati motivi – non lo fanno, e molte di quelle piccole chiedono qualche migliaio di euro per poterlo fare. Se sali su questa piattaforma non lo fai per diventare ricco, famoso e andare in TV. Perché non succederà.
Cosa consigli a chi vuole intraprendere il percorso letterario ?
Potrei dirgli di provare a fare quel che hanno fatto tutti quelli che oggi pubblicano in grande stile, ma potrebbe non funzionare. Potrei dirgli quello che ho fatto io, ma sicuramente non funzionerebbe. Così mi limito a dire questo: leggi molto, fa’ delle esperienze, e poi chiuditi in una stanza e fa’ quel che va fatto. Ricorda che scrivere non è un percorso, ma una benedetta maledizione. E che se le maledizioni lo spaventano, si ricordi che ce ne sono di peggiori. Come vivere senza avere uno scopo qualunque. O restare senza niente da bere o da fumare. O dover assistere ad uno spettacolo di Holiday On Ice.