Cinema

The Northman

Il vichingo Skarsgård, il film nelle sale e sulle piattaforme commentato per noi da Paolo Colucci

Il terzo film di Robert Eggers si chiama The Northman ed è un sanguinosissimo riadattamento dell’Amleto, nelle sale da fine aprile. Andare a vederlo al cinema è l’unico modo per mettere a fuoco l’ottanta percento delle scene che sono girate in notturna con l’ausilio di torce, falò e qualche stella. 

Aldilà dell’audacia nel riproporre un soggetto così usato – esclusi quelli di Welles, Kurosawa e Polanski, sono tre i grandi adattamenti del solo Macbeth negli ultimi vent’anni – Eggers ha l’intuizione di calcare la mano su ciò che ha reso così affascinante la tragedia shakespeariana. Firma la sceneggiatura con il poeta Sigurjón Birgir Sigurðsson – alias Sjón – col quale trasloca la famiglia reale danese prima in Norvegia e poi in esilio, in Islanda.

La storia del giovane Amleth\Alexander Skarsgård è quella di sempre: il trono del padre Aurvandill\Ethan Hawke viene usurpato dallo zio Fjölnir\Claes Bang che sposa la vedova Gudrún\Nicole Kidman lasciando il principe orfano di padre a covare la proverbiale vendetta. Il resto è un’Odissea intorno al mare del Nord, alla fine del X secolo, nel melting-pot norreno di quegli anni. Popoli selvaggi guidati da re con nomi d’animali si stanziano in terre dimenticate da Dio seguendo le visioni allucinate di stregoni e capi sanguinari – efficace la scelta di Dafoe e Björk per il ruolo di sciamani –.

Quasi con metodo etnografico tutto questo mondo remoto e tetro viene rappresentato maniacalmente. Dalle scuri alle spade pesanti, dalle acconciature ai rituali, tutto converge in una narrazione fluida ed estremamente fedele alla realtà storica di quegli anni. Il découpage di Eggers si accompagna alla musica e ai suoni (estremamente realistici) in un modo così equilibrato da rendere esteticamente appetibili scene di una crudeltà abominevole. È questo il calderone infernale dove macera l’anima di Amleth.

Ma nel film, come nella tragedia, il tema della vendetta si eclissa pian piano lungo tutto lo svolgimento – ad eccezione della fiammata finale –. Anche qui l’eroe si nasconde sotto mentite spoglie. Si finge schiavo e sogna il suo riscatto di sangue che ironicamente sembra non arrivare mai. È pazzo, forse, ma non per Olga\Anya Taylor-Joy, l’inquietante Ofelia slava con cui trama la sua riscossa. Suggestivo il breve soliloquio sul tetto della casa dello zio al chiaro di luna, che conferisce profondità al personaggio interpretato da Skarsgård, in bilico tra un vichingo sanguinario e un dio nordico.

E se la crudezza delle immagini e i paesaggi islandesi abbassano la temperatura in sala sotto lo zero, il ritmo del film e le sue continue evoluzioni psicologiche tengono incollati alla storia per tutte le due ore. Non c’è un solo momento morto mentre Amleth tormenta se stesso e i suoi nemici. Nel riadattamento dell’originale niente è lasciato al caso: l’uccisione “accidentale” di un innocente, il sentimento omicida e le ragioni della violenza che cadono e risorgono davanti al male di cui l’uomo è capace. Insomma, se le visioni notturne e le cavalcate delle valchirie ci cullano in questo incubo nero, Eggers ci pone davanti ad una tragedia fin troppo reale. La sete di potere e l’eterno tributo di sangue che questa comporta.

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