I bambini e i malanni di stagione, le risposte del pediatra Tommaso Montini
Un pediatra, uno studio e tanti bambini con tosse e raffreddore. Come aiutarli a guarire senza spaventarsi. A rispondere il dottore Tommaso Montini.

Con il ritorno a scuola ritorna anche la visita dal pediatra.
Raffreddore, tosse e febbre sono un compagno abituale per i bambini e una nuova preoccupazione per le mamme e i papà.
Proviamo a rispondere alle tante domande e dubbi dei genitori con il dott. Tommaso Montini, pediatra, autore e scrittore di numerosi testi sulla crescita dei bambini e ottimo divulgatore web sul rapporto bambini – malattie e ansie dei genitori.
La sua pagina Facebook è un servizio pubblico di informazione e supporto ai genitori alle prese con al crescita dei loro neonati e bambini.
Dottore un bambino con la febbre come va curato?
Va curato? Ma se la febbre è un ottimo meccanismo di difesa, e lo è, sicuro che dobbiamo curarlo? Direi che se un bambino ha la febbre dobbiamo capire perché ce l’ha e vedere se ha bisogno di un aiuto o può farcela tranquillamente da solo.
Quindi niente medicinali?
Diamo un antipiretico, ma non per abbassargli una temperatura che non ci preoccupa affatto; lo diamo solo perché può non sentirsi bene. Può avere mal di testa, essere abbattuto e con questo farmaco possiamo evitarglielo.
E le famigerate convulsioni che potrebbero arrivare con la febbre?
Diciamolo subito: le convulsioni provocate solo dalla febbre, quindi in un bambino sano in una età dai sei mesi ai cinque anni, che ha un rialzo termico provocato da episodi intercorrenti senza alcun interessamento cerebrale, sono una gran paura della mamma, lo riconosco, ma restano del tutto benigne e non sono affatto famigerate.
Ok, le trattiamo e andiamo anche in ospedale per escludere convulsioni di natura diversa, ma se non lo facessimo non cambierebbe niente.
Restano solo un incidente di percorso banale da conoscere e imparare a gestire con serenità in attesa che passino con la crescita.
E allora non diamo un antipiretico perché abbiamo paura delle convulsioni, e tentiamo di prevenirle.
Le convulsioni si scatenano in chi è predisposto, quando la febbre sale improvvisamente. Per questo vediamo prima le convulsioni e poi ci rendiamo conto di una temperatura alta. Se la febbre è già stabilizzata il pericolo probabilmente è passato ed è inutile cercare di prevenire qualcosa con una Tachipirina.
Non diamo un antipiretico nemmeno per decidere sulla eventuale necessità di un antibiotico in base ad una risposta più o meno buona. Virus o batteri possono infatti mantenere una temperatura poco responsiva alla Tachipirina allo stesso modo. E per concludere non lo diamo nemmeno per guarire prima. In effetti sarebbe vero il contrario: la febbre alta fa guarire prima.
Quindi cosa devono fare i genitori?
Se il bambino ha la febbre guardiamo lui, non il termometro! Se sta male diamogli una antipiretico, va bene, ma impariamo a vedere i segni importanti da raccontare al dottore.
Quando chiamare il pediatra?
Quando il bambino sta male ovviamente. Ho detto il bambino, non il termometro. La cosa importante è saper vedere i segni importanti per saper decidere se attendere per parlare con il dottore quando sarà disponibile o correre per fargli visitare il bambino subito.
Cosa deve osservare una mamma o un papà?
Il bambino. Gioca, sorride, è ben orientato, gira per la casa, è vivace? Tutto ok. Nessuna fretta per parlare con il pediatra. E’ abbattuto? Dorme sempre? E’ poco reattivo? Non è ben orientato? Serve una visita.
Slogan che ripeto spesso: una meningite non ride mai!
E poi guardiamo il colorito: è pallido grigiastro giallastro? Facciamolo vedere. E’ roseo come sempre? Tutto bene, attendiamo. Sulla pelle possiamo vedere: esantemi, orticarie, dermatiti; abbiamo tutto il tempo per farle valutare, senza urgenza.
Dobbiamo invece essere bravi a riconoscere segni emorragici perchè quelli meritano sempre una visita. Le ecchimosi, facili da riconoscere meritano attenzione se sono in zone non soggette a traumi e non hanno una spiegazione. Le petecchie, micro emorragie capillari sono più subdole; hanno l’aspetto di piccoli puntini rosso scuro ma come riconoscerle? Semplice, ci premiamo su con un dito. Se il puntino scompare e ricompare il sangue è nei vasi, non è una petecchia e non ci interessa cosa sarà. Se invece il puntino non si muove può essere un piccolo stravaso. Certo, può essere anche tante altre cose, ma se prima non c’era e premendoci sopra non scompare, facciamolo vedere subito. In modo particolare se c’è una febbre.
Ma una mamma con grande facilità può anche imparare a valutare il circolo! Si vede dal pallore o dal colorito grigiastro o bluastro, ma si può facilmente valutare con il tempo di perfusione capillare che chiamiamo in “medichese” refill capillare. Gli inglesismi hanno sempre il loro appeal. Che cosa è e come si valuta? Facilissimo. Premiamo su un’unghia. L’unghia diventa bianca. Lasciamo la pressione e l’unghia diventa subito rossa come prima. Questo è il tempo di refill capillare. Normalmente l’unghia torna rossa in meno di tre secondi; se ci impiega di più (i secondi si contano così: milleuno, milledue, milletre) serve una visita del dottore presto.
E la tosse? E se avesse la bronchite? Meglio correre subito dal dottore o stare sereni e rivalutare? Che può saper vedere una mamma? Una mamma può imparare facilmente a misurare la frequenza respiratoria. Se impara, aiuta il dottore tantissimo e può essere più brava del suo fonendoscopio. Come si fa? Si guarda il pancino che sale e scende mentre il bambino dorme. Contiamo quante volte lo fa in un minuto. Ci preoccupiamo e lo diciamo subito al dottore se lo fa più di 60 volte nel primo anno, 50 fino a due anni, 40 dopo. La frequenza respiratoria è più precisa dell’orecchio del dottore per individuare le polmoniti.
E la febbre?
Non l’ho nominata nemmeno, perché non è la febbre che ci aiuta a capire se dobbiamo davvero preoccuparci o no, esclusi i primi tre mesi e le temperature che superano i 40°. I bambini infatti possono avere situazioni gravi con una ipotermia e una banale faringite o con una febbre a 39°.
Raffreddore e mal di gola come si curano?
Non si curano. Ci pensa il sistema immunitario, però il brodino caldo della nonna mantiene il suo fascino. Qualsiasi terapia non è più efficace.
Quando e come stare a casa?
Lo stare a casa nei secoli è stata l’unica arma per limitare la diffusione delle malattie infettive. Gli antibiotici sono una scoperta recente e l’isolamento restava l’unica vera difesa efficace per tutta la popolazione. Il riposo e una migliore nutrizione erano poi gli altri due interventi che aiutavano nel percorso di guarigione. Il Covid, con le quarantene, ci ha fatto tornare indietro nel tempo e ha ridato al “deve stare a casa” il suo vero significato.
Lo avevamo dimenticato e “lo stare a casa a riposo” con il tempo si era trasformato in “deve stare al caldo” non “deve prendere freddo” “attenzione alle correnti d’aria” “gli viene la bronchite” . Non c’è alcuna evidenza che “il caldo” o “l’attenzione agli spifferi e alle correnti d’aria” abbiano un effetto sui processi di guarigione.
Chi invece decide se si muore o si guarisce per una malattia infettiva sono la cattiveria dell’agente infettante e quella del nostro sistema immunitario. Fortunatamente il nostro sistema immunitario è cattivissimo e solo raramente ha bisogno di aiuto, ma quando noi pediatri lo aiutiamo non mettiamo i bambini nel forno, piuttosto prescriviamo “veleni” per gli agenti infettanti che lo minacciano: gli antibiotici.
Quindi stiamo a casa quando siamo malati, a riposo. Perché le energie servono a combattere l’infezione, ma possiamo andare sempre dal dottore per fargli valutare da vicino se ce bisogno di un aiuto.
II freddo, il vento, il caldo, i cambi repentini di temperatura fanno ammalare i bambini?
Parliamo del freddo. Perché mettiamo gli alimenti in frigorifero? Per evitare che si perdano cioè i germi non li colonizzino e li alterino. Invece quando facciamo un tampone, esempio di moda, il campione si mette in incubazione, cioè al caldo, per favorire la crescita e individuare l’agente infettante prima possibile.
Basta fare queste sole due riflessioni per capire che i germi crescono meglio al caldo, non al freddo!
Raffreddore è una parola sbagliata. Si chiama rinite! A meno 20 gradi si muore per assideramento, non per infezione.
E allora perché le malattie da raffreddamento vengono in inverno?
Perché a causa del freddo chiudiamo le finestre, soggiorniamo in ambienti chiusi, con riscaldamento acceso, qualcuno fuma e le possibilità di contagio aumentano in modo esponenziale. Potremmo dire come battuta che in inverno i germi hanno freddo e si trasferiscono al calduccio delle case.
E i cambi repentini di temperatura?
Ci sono state varie tesi a sostegno di un possibile maggior rischio di ammalarsi. La vasocostrizione per il freddo improvviso provocherebbe uno shock a livello delle ciglia dell’albero respiratorio e questo favorirebbe l’attecchimento dei germi. E’ una ipotesi che non ha avuto grandi conferme, ma voglio far riflettere sul fatto che tutti noi abbiamo il naso, un organo che “di mestiere” riscalda umidifica e filtra l’aria che entra. Una respirazione con il naso permette l’accesso di una aria sempre a temperatura controllata qualsiasi sia quella esterna. Inoltre basta una semplice sciarpa o qualsiasi protezione davanti al naso per creare un microambiente a temperatura meno rigida di quella esterna che lo aiuta a “faticare” meno.
Conclusione? Parliamo di malattie infettive! Non di colpi d’aria. Tutto quello che ci ha insegnato il Covid con distanziamento, mascherine e areazione degli ambienti non buttiamolo al vento.
C’è un farmaco che nei bambini può fare la differenza?
Certo! Le coccole. Ma per tutto, non solo per le malattie infettive. Le carezze, la percezione di avere una mamma e un papà su cui contare sempre, la serenità di un ambiente domestico e la certezza di essere amati sono tutti “farmaci” straordinari che hanno una azione potente sul cervello, ma anche sul sistema neuroendocrino, quindi sulla crescita e lo sviluppo. La felicità e la gioia hanno un effetto immunostimolante ben documentabile forse anche più efficace degli sciroppetti che si vendono in farmacia.
Quando i genitori hanno un dubbio su come curare un bambino chi chiamare?
L’amica, la nonna o il pediatra?
L’amica, la nonna e pure la vicina di casa certamente diranno la loro su come curare il bambino. “Grazie dei consigli, ma il pediatra è l’unico che ascolto!” Bisognerebbe rispondere.
Noi italiani dimentichiamo che abbiamo un lusso straordinario, siamo abituati ad averlo e non ce ne rendiamo conto. Siamo l’unico paese al mondo che garantisce per ogni bambino l’assistenza gratuita di uno specialista pediatra!
Uno che ha fatto sei anni di studi per laurearsi in medicina e cinque anni di specializzazione in reparti universitari di altissimo livello. Ogni pediatra non è un medico qualsiasi, ma uno specialista; formato per conoscere i bambini e il loro mondo a 360 gradi. Purtroppo lo usiamo poco e male e ne banalizziamo il ruolo.
La stessa sua domanda lo conferma.
Non credo che ad un cardiologo o ad uno specialista neurochirurgo verrebbe di farne una simile, ma capisco che il sistema in cui siamo tende a ridurre il ruolo del pediatra al capitoletto delle malattie infettive e purtroppo “l’acuto banale”, che non avrebbe assolutamente bisogno del pediatra, riempie i nostri studi e i servizi di pronto soccorso togliendo energie e risorse ai veri problemi dell’infanzia.
Grandissimi temi come l’adolescenza, lo sviluppo emotivo, le malattie croniche, quelle genetiche, la disabilità sono travolte e marginalizzate dai catarri, i raffreddori, le febbri intercorrenti, le diarree; cose che sa gestire bene anche la nonna. I pediatri sono “Ferrari” tenute nei garage. Li usiamo come sgangherate biciclette e confrontiamo i loro consigli con quelli dell’amica o del commesso della farmacia. Peccato!
Voi pediatri quanto lavorate in termini di tempo?
Parlo di me, ho 1050 assistiti, faccio in media 120-150 visite a settimana, ogni giorno resto nel mio studio per circa sei ore di lavoro intensissimo senza pause e il telefono mi perseguita praticamente sempre. Se un bambino ha un po’ di febbre, nessuno dei miei clienti si pone il problema di orari, che sia domenica, Natale o Pasqua.
In periodo epidemico poi tutto si decuplica e non riesco ad arginare la marea. Il sistema sanitario fa un discorso di massa. Mille assistiti: all’ingrosso. Senza considerare variazioni o problematiche particolari. Il singolo paziente conta poco! E’ una modalità che spesso è alla base di tensioni.
Se la mattina fa freddo, piove e siamo in epidemia influenzale il pediatra indossa l’elmetto e si augura che il Signore gliela mandi buona. A noi pediatri di famiglia è demandato praticamente tutto. Siamo sommersi da burocrazie.
Dobbiamo gestire la patologia acuta, ma anche il follow up della cronica, e anche tutta la medicina preventiva, gli screening. Dobbiamo certificare qualsiasi cosa assumendo responsabilità, e poi fare o controllare vaccinazioni, ma siamo anche responsabili della spesa sanitaria, quindi, ogni ricetta è un collage di codici, esenzioni, burocrazie e qualsiasi cosa salti in mente a chi gestisce la sanità.
Non posso chiudere “la bottega” e mandare la gente a casa. Non abbiamo ferie e non abbiamo malattie. Per ogni assenza, per qualsiasi motivo, dobbiamo cercare un sostituto e vi assicuro che non è facile.
Poi devo studiare, leggere riviste scientifiche e partecipare ai congressi, a mie spese. So che il mio sapere invecchia con una velocità stratosferica e devo impegnarmi per mantenermi aggiornato. Anche questo è tempo. Molto tempo, che tolgo a me e alla mia famiglia.
Un consiglio ai genitori su come vivere il loro tempo con i bambini.
Goderselo! Più possibile.
I bambini sono torrenti che scorrono veloci. Ogni attimo è unico e irripetibile e ogni giorno l’acqua che passa sotto al nostro ponte è nuova. Il tempo con i bambini costruisce cervelli e decide futuri. Sprecarlo, affidandolo ad un video per fare mille altre cose che resteranno sempre uguali è un vero peccato.
E se mamma e papà lavorano?
I bambini piccoli non hanno la percezione del tempo e dello spazio. Vivono nel qui e ora e quello che scrive nel loro cervello è la qualità emotiva del tempo che trascorrono con mamma e papà. Se i genitori lavorano, non ha importanza quanto sono fuori, ma cosa succede quando tornano. Se mamma sorride, mi prende in braccio, mi legge una favola, gioca con me, mi accarezza o canta, di quel giorno resteranno quelle emozioni. Tutto il resto scivolerà via.
Il cervello del bambino è emotivo non cognitivo e le emozioni decidono quale neurone si legherà a quale altro per formare circuiti, per costruire un sistema operativo. Un sistema che resterà stabile per tutta la vita!
Detto con un esempio: nei primi due anni costruiamo il sistema operativo, dopo, saranno tutti file. Quello che succede in una piccola testolina nei primi due anni è strabiliante. Tra le nostre braccia, in quegli esserini. così fragili e teneri, c’è un lavoro corrispondente a quello di migliaia di mega industrie tutte insieme.
Se rapportassimo quel lavoro alla costruzione di città potremmo dire che in due anni costruiremmo più di cento città da dieci milioni di abitanti. Le emozioni belle, quelle che sono il piacere dello stare insieme, il contatto, il gioco, il sorriso, la tenerezza, l’intimità, le carezze, l’allegria sono ruspe e gru che costruiscono metropoli. Il tempo con i bambini, quello bello fatto di gioco e piacere, è la nostra e la loro medicina migliore per la felicità.
Un consiglio ai colleghi su come interagire con i genitori.
Per fare i pediatri dobbiamo voler bene ai nostri bambini ed essere amati da loro e dalle loro famiglie. Se riusciamo a creare un rapporto di amore tra noi e i nostri pazienti. Se riusciamo ad andare oltre i camici o le cravatte e incontriamo reciprocamente la nostra umanità fragile, cambia tutto. Dobbiamo volerci bene. Solo così si può capire l’ansia di una mamma e solo così una mamma può non restare turbata se una volta il dottore è poco disponibile o stanco.
Io voglio bene ai miei pazienti e lavoro molto meglio quando sento la loro stima e il loro affetto.
Non funzionano le norme da rispettare, i paletti, la freddezza delle regole. In pediatria conta il cuore.
Se la mamma sente che il pediatra c’è e davvero si prende cura del suo bambino, se sa che lui le consiglia quello che davvero fa per i suoi figli, la sua ansia si riduce.
Ce lo insegna Bowlby, un grandissimo, padre della psicologia moderna. Il determinante maggiore per lo sviluppo di un bambino è la percezione di avere nella sua mamma una base sicura su cui contare sempre. Lo stesso vale per ognuno di noi, a qualsiasi età. Tutti abbiamo bisogno di avere un qualcuno che sia per noi una base sicura, una maniglia forte cui appoggiarsi, un riferimento stabile.
Il dottore “funziona” se riesce ad essere una base sicura per il suo paziente. Se sa esserlo quel rapporto funzionerà. Se non riesce ad esserlo potrà essere anche il medico più bravo, non lo sarà mai per il suo paziente.
Dovrebbe riflettere su questo chi fa le leggi. I progetti del futuro sono mirati a mantenere presidi di pronto soccorso H24 e cancellare la figura del medico di famiglia. Soluzioni per arginare l’acuto banale che terrorizza e invade i servizi. Funzionerà? Non lo so.
Ma la medicina spezzettata in mille sotto specialità, affidata a macchine e servizi anonimi di medici sempre diversi non mi sembra abbia aiutato davvero. Abbiamo bisogno di tecnica anonima? Forse. Ma io credo che abbiamo più bisogno di tornare a stringere le mani del dottore a cui vogliamo bene!