NEI MIEI LIBRI RACCONTO QUELLO CHE MI STA INTORNO, E INTORNO A ME C’È FIRENZE
Intervista allo scrittore, giornalista, fotografo fiorentino Francesco Giannoni. Recentemente l'autore ha pubblicato e presentato le sue due ultime, attese, fatiche letterarie.
Francesco Giannoni, classe 1960, è uno scrittore nato a Firenze. Laureato in lettere, lavora da quasi trent’anni nell’editoria e ha pubblicato svariati libri, la maggior parte dei quali ispirati e dedicati alla sua amata città nativa. Tuttavia, definire l’autore fiorentino solo uno scrittore è forse riduttivo, considerando che è anche un giornalista pubblicista, un redattore e un fotografo che collabora con prestigiose case editrici e diverse testate giornalistiche. Di recente Giannoni ha presentato le sue due ultime fatiche letterarie: “Le Cento Fontane di Firenze. Dall’acqua del Granduca a quella del Sindaco” ( Florence Art Edizioni) e “Storie sul bus. Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf” ( Società Editrice Fiorentina). Ho contattato l’autore e insieme abbiamo ripercorso la sua ricca e poliedrica carriera, presentato quelli che lui definisce i suoi “figli” letterari, e strizzato l’occhio a qualche sogno professionale ancora da realizzare.
Francesco, tu sei un giornalista e lavori nel campo dell’editoria da molti anni, oltre ad avere scritto e pubblicato svariati libri, la maggior parte dedicati alla tua Firenze. Possiamo affermare che è Lei la fonte primaria di ispirazione?
“Sicuramente lo è, ma credo che sia abbastanza comune. Una persona scrive basandosi su quello che vede intorno a sé e Intorno a me c’è Firenze. E dunque, è alla mia città che faccio riferimento in tutti i miei libri”.
I tuoi libri, ce li presenti rapidamente?
“Con piacere! Il primo, del 2016, è stato “Il viale dei Colli a Firenze. Storia e storie di una delle strade più belle del mondo” (Florence Art Edizioni). In modo divulgativo (non sono uno storico dell’arte, tanto meno un artista), parlo di quel che s’incontra lungo il viale e le strade e piazze a esso afferenti: dai capolavori assoluti, come la Basilica di San Miniato al Monte, ai più semplici manufatti, come lapidi o cancelli in ferro battuto. Cerco di raccontare la storia del viale dei Colli, insieme ai fatti e fatterelli accaduti all’ombra dei suoi alberi. L’anno successivo è stata la volta di “Terme in Toscana. Itinerari e sorgenti della Toscana” (Moroni editore). Non sono un fruitore termale, ma l’editore mi commissionò il libro e parte delle foto. Sono partito alla scoperta di questo aspetto della mia regione e mi si è rivelato un mondo che non conoscevo, fatto non solo delle astruse (per me) formule chimiche delle acque curative, ma anche di storia e storie, di arte e personaggi, di curiosità e fatti piccoli e grandi. Il 2018 ha visto l’uscita di “Quei lontani sogni cattivi. Memorie di un prigioniero toscano della Grande Guerra” e poi, un anno dopo, “La Maratona di Firenze. I protagonisti”. Io non corro, ma la maratona è una gara (e una storia, quella di Filippide e di Atene contro i Persiani, della libertà contro la prepotenza del più forte), i cui personaggi mi hanno sempre affascinato: da Filippide a Spyridon Louis (l’atleta greco che vinse la prima maratona delle olimpiadi moderne, ad Atene, nel 1896), dal nostro Dorando Petri, eroico e sfortunato a Londra nel 1908, a Gelindo Bordin e Stefano Baldini che la maratona olimpica l’hanno vinta a Seoul (1988) e Atene (2004). Di tutti loro parlo nel libro, anche se i veri protagonisti sono gli atleti amatoriali che in migliaia ogni anno partecipano alla Maratona di Firenze: gente comune, uomini e donne, una rassegna di persone, che corrono in una gara con se stessi, semplicemente per dire: ce l’ho fatta; sono arrivato in fondo. E questo mi commuove. Eccomi al 2020: “C’era una volta l’Ataf. I fiorentini e la loro città in un insolito ritratto”: 24 racconti basati sui ricordi di un autista degli autobus pubblici fiorentini. Situazioni, battute e scherzi, a volte esilaranti, da parte di professionisti che non avevano dimenticato di essere uomini e che erano riusciti a fare dell’Ataf una sorta di grande famiglia”.
Arriviamo al 2021, anno nel quale hai pubblicato ben due libri: il primo è “Le Cento Fontane di Firenze. Dall’acqua del Granduca a quella del Sindaco” (Florence Art Edizioni), un insolito itinerario di Firenze dove l’acqua ne è il fil rouge. Come nasce questo progetto?
“Lasciami dire che il fatto che siano usciti due libri a distanza di poche settimane è stata una coincidenza: il libro sulle fontane era finito da tempo. Poi la pandemia e un accurato lavoro di redazione ha fatto sì che la sua uscita sia avvenuta solo nel settembre scorso. Una gestazione e un parto lunghi, ma l’attesa è valsa la pena. È un libro di grande formato (più di un foglio A4), riccamente illustrato con foto a colori, in gran parte realizzate dal sottoscritto. Il testo è a carattere storico-artistico, ma con un tono divulgativo: ripeto non sono uno storico dell’arte, solo un semplice goditore di bellezza che ha deciso di provare a scriverne. Nasce da un semplice fatto personale: l’acqua mi affascina, e mi affascina il modo in cui si relaziona con la materia, nel caso delle fontane il bronzo o il marmo, determinandone e accentuandone i colori, anche a seconda dei momenti e della luce. Dopodiché, basandomi su un antico libro di un architetto fiorentino, Carlo Cresti, “Le Fontane di Firenze”, mi sono messo in moto: fontana per fontana, ne ho scritto la storia, sono andato a vederle una per una, le ho fotografate, da varie angolature e anche nei dettagli, ho preso appunto delle mie impressioni e delle emozioni che suscitavano in me. Poi, tornato a casa, ho scritto il testo. Come le ciliegie, una fontana ha tirato l’altra, anche se mi sono limitato a quelle visibili al pubblico. Ho “scoperto” fontane che non conoscevo (a volte dei capolavori assoluti, però magari in periferia), sono tornato più volte su certe fontane per approfondire ulteriormente: dalle più importanti, come quella del Nettuno in piazza Signoria o quella del Carciofo in Boboli, a quelle “minori” o più appartate, ce ne sono tante che meritano di essere scoperte o riscoperte. Il risultato finale è questo libro che… beh, giudicheranno i lettori che spero siano numerosi. Mi basta dire che mi sono divertito e mi sono arricchito e ho conosciuto la mia città sotto il particolare punto di vista dell’acqua, delle fontane. Intanto il libro ha avuto alcune presentazioni, due delle quali hanno visto la partecipazione di altrettanti illustri storici dell’arte: Cristina Acidini Luchinat, già Soprintendente del Polo Museale di Firenze, e Antonio Natali, già direttore degli Uffizi. Entrambi hanno avuto per il mio lavoro parole di elogio a volte imbarazzanti. Ganzo (come diciamo a Firenze), anzi ganzissimo: certi imbarazzi mi piacciono”.
La tua seconda fatica letteraria di quest’anno è “Storie sul bus. Avventure e disavventure dei passeggeri dell’Ataf” (Società Editrice Fiorentina): sono 19 racconti e altrettanti ricordi nati sugli autobus. Sono davvero così “teatro di storie”, questi mezzi di locomozione?
“Direi di sì. Chi usa quotidianamente gli autobus si rende conto che sono dei microcosmi dove accade di tutto: la bambina che sale sull’autobus sbagliato, la nascita di un amore, il barbone che di punto in bianco si mette a cantare, l’esibizionista, la persona anziana, e magari sola, che attacca bottone con autisti e passeggeri, lo scippatore, i bambini che trovano un gioco irresistibile andare con i nonni sull’autobus dove imparano le parolacce scritte sulle pareti. Di questo scrivo nel libro. C’’è da dire che oggi si parla meno sul bus: abbiamo tutti gli occhi fissi sul cellulare e sui social che sono la cosa più antisocial che esista. Mi prendo le mie responsabilità: ne sono vittima anch’io. Devo dire però che quando salgo sull’autobus, preferisco osservare le persone e guardare fuori dal finestrino: la città, i luoghi che pur conosco bene, da un paio di metri da terra si vedono con un’altra prospettiva. E il cellulare? Lo metto in tasca, anche perché mi viene il mal d’auto, come ai bambini: d’altra parte quando s’invecchia, si rimbambinisce”.
Sullo sfondo dei finestrini degli autobus è sempre presente Firenze. Ti chiedo: è un libro nel quale chiunque può riconoscersi, a prescindere dalla città in cui si svolge la narrazione?
“Io penso di sì, né più né meno come chiunque si rivede nei libri di De Giovanni ambientati a Napoli, nei Promessi Sposi ambientati in Lombardia, nelle commedie di Goldoni, ambientate a Venezia, nei romanzi di Tolstoj che ci parlano della Russia. (Va da sé che ho citato questi mostri sacri semplicemente per chiarire il mio pensiero). Pur avendo ambientato a Firenze i miei racconti, ho scelto di non usare il vernacolo fiorentino, sia perché quando è troppo stretto non mi piace (e lo dico da fiorentino) sia perché gli eventuali lettori non fiorentini possano rivedersi nella narrazione: i protagonisti dei miei racconti sono tipi umani che si incontrano sugli autobus, ogni giorno e ovunque. E infatti chi ha letto il libro, anche dei non fiorentini, l’ha apprezzato molto”.
In questo libro il punto di vista è quello del passeggero. Tuttavia, precedentemente ne hai pubblicato un altro, nel quale i ricordi appartengono a un autista dei pullman. Dunque, “Storie sul bus” è un sequel?
“In un certo senso, sì. A parte le fonti diverse, la differenza fra i due libri sta nel fatto che mentre il primo è caratterizzato soprattutto dal divertimento suscitato da scherzi e battute di autisti, bigliettai e controllori, il secondo dà spazio a pensieri, riflessioni e a volte anche alla malinconia. Inoltre, dato che mi piacciono i bambini, loro sono protagonisti di quattro racconti. Ad ogni modo, il lieto fine è assicurato”.
C’è un libro che hai scritto, al quale sei più legato?
“Come si dice? Ogni scarrafone è bello a babbo suo (anche se le parole che usate a Napoli non sono queste). Però c’è poco da fare: il figlio prediletto c’è sempre, e per me è “Quei lontani sogni cattivi. Memorie di un
prigioniero toscano della Grande Guerra”. Quel prigioniero è mio nonno Faustino Giannoni, che non ho mai conosciuto. Dopo la morte di mio padre, mettendo in ordine le sue carte, saltò fuori un manoscritto di pagine ingiallite scritte con una bellissima grafia. Erano le memorie di prigionia di
mio nonno. Non ne sapevo nulla. Furono una vera sorpresa. Scoprii come pensava e come sentiva. Dato che aveva la quinta elementare, ho dovuto procedere a un editing accurato. Poi l’editore Sarnus di Firenze lo ha pubblicato. Lo trovo un documento storico interessante, uno spaccato di vita molto particolare, quello della prigionia. Nonostante le sofferenze fisiche e morali, le malattie, la fame, il freddo, mio nonno non perse mai la sua umanità, riuscendo a coglierla anche negli altri, anche nel nemico, e lasciandone testimonianza, facendo capire che il nemico, a volte, non è mai così nemico. E poi Faustino mantenne viva la sua curiosità e la sua capacità di recepire, annotando le caratteristiche dei paesaggi e quelle dei tipi umani che vedeva e incontrava in Austria, in Boemia, in Bosnia, Paesi che allora erano un mondo altro. Concludo dicendo che di questo libro io sono solo il curatore, l’autore è mio nonno, Faustino Giannoni”.
Sono curiosa: cosa ti piace leggere nel tuo tempo libero?
“Direi di tutto, ma principalmente la narrativa. Mi piacciono i russi e i tedeschi. Fra gli italiani del Novecento, amo molto Pratolini, creatore di personaggi fiorentini e universali al contempo. Fra gli scrittori di oggi, la mia preferenza va a Camilleri, soprattutto quello dei primi anni,
e a due toscani, Vichi e Malvaldi. Il migliore è il napoletano De Giovanni, creatore di storie e personaggi indimenticabili, oltre che grandissimo poeta: certe pagine sono meravigliose. Il mio livre de chevet è Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa che unisce ironia, dramma e tragedia. Le pagine sulla morte del Principe sono memorabili, come quelle dell’ultimo capitolo che si conclude con delle parole tristissime: “Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida”. Fra gli stranieri di oggi, adoro Alicia Giménez-Bartlett. Mi piace molto la storia di cui leggo non pochi saggi. Trovo magistrali gli storici francesi: rigorosi e divulgativi allo stesso tempo”.
So che sei anche un fotografo e che hai eseguito servizi molto importanti, collaborando con case editrici prestigiose…
“A parte alcuni servizi di cucina per dei manuali per gli istituti alberghieri, editi da Mondadori Education, e quello per il libro sulle fontane, ho lavorato soprattutto con la casa editrice Bonechi di Firenze che a suo tempo mi commissionò una serie di servizi fotografici per delle enciclopedie a fascicoli settimanali su alcune regioni d’Italia e per la quale nel 2006 ho realizzato due servizi sugli aspetti contemporanei di Roma e Napoli”.
Ce l’hai un sogno nel cassetto, da realizzare?
“Sì, mi piacerebbe scrivere dei racconti erotici. La cosa che ritengo sia più difficile è raccontare l’eros senza scadere nella pornografia. Per ora ho buttato giù del materiale, poco più che degli appunti. Mi sembrano soddisfacenti. Vedremo”.
Oltre a questo esperimento letterario, hai altri progetti in cantiere?
“Preferirei non parlarne, ma non per fare il prezioso, semplicemente per scaramanzia (sei campana, mi puoi capire): è inutile che dica che voglio scrivere un libro o che magari l’ho già scritto, che dica l’argomento e magari anche il titolo, e poi non trovo l’editore che me lo pubblica. Che figura farei!(ride, ndr) ”