Cinema

ADDIO SONNY

E' morto James Caan L'attore aveva 82 anni. Una lunga carriera, il successo, poi la dipendenza dalla cocaina e lo stop, poi il ritorno al cinema e in tv.

(Los Angeles)-«Una volta ho urtato un tizio in un bar, quello si è girato e mi ha detto: scusa, Sonny!». Càpita. Un attore lavora tutta la vita, passa da un successo a un fallimento, poi a un altro successo, poi a una ricca serie di disastri (non solo artistici). E però, quel tizio nel bar ti chiama “Sonny” e ti chiede scusa anche se sei stato tu, a urtarlo. Perché Sonny era un tizio pericoloso, uno che si infiammava per niente. E quel ruolo ti è rimasto attaccato per tutta la vita.

Addio, Sonny.  Se n’è andato  James Caan un attore americano a suo modo indimenticabile. Quel ruolo nel  Padrino– il figlio prediletto di Don Vito Corleone, quello che dovrebbe diventare l’erede, mentre il più delicato Michael dovrebbe studiare e lavorare dietro le quinte – valeva una vita. Il padrino (Francis Ford Coppola, 1972) è uno dei più grandi film americani di sempre, ma ha anche una delle storie più bizzarre di sempre. Tutti sanno che Robert Evans, il produttore, voleva anche dirigerlo: ma commise l’errore di chiedere aiuto per la sceneggiatura a Coppola, che se ne impossessò. Magari non tutti sanno che, dopo essere stato scritturato per il ruolo di Sonny, Caan era stato dirottato su quello di Michael. Per Sonny, che nel romanzo di Mario Puzo è descritto come un fusto donnaiolo e superdotato, la Paramount pensava a roba forte: Warren BeattyRyan O’NealRobert Redford. Tre superbelli che ben difficilmente potevano passare per italoamericani. Poi Coppola scelse Al Pacino per il ruolo di Michael (come dargli torto?) e Caan tornò ad essere Sonny. Moriva nel primo film, crivellato di pallottole. Per cui, nel secondo magnifico film – Il padrino parte II, 1974 – compariva solo in alcuni flashback.

 

James Caan nel 2010, premiato al Festival di Marrakech

Peraltro, neanche Caan era italoamericano. Però aveva una bella faccia da pugile che lo rendeva etnicamente eclettico. In realtà era ebreo, figlio di due ebrei di origine tedesca, nato il 26 marzo 1940 nel Bronx (come un altro ebreo americano di talento, un certo Stanley Kubrick). Al college era un asso del football, come un altro ebreo americano (e dàlli!), Sydney Pollack. Ma a volte questi ragazzotti americani le cui radici affondavano negli shtetl, nei villaggi yiddish dell’Europa centrale, nascondevano un animo sensibile sotto la scorza da bullo. Così il “jewish cowboy” James Caan (così lo chiamavano, a scuola) provò a recitare, esattamente come Pollack (che nasce attore prima di diventare un superbo regista), e trovò la propria strada.

 

Caan con Kathy Bates in 'Misery non deve morire'
 

Il primo ruolo nel quale Caan è riconoscibile su uno schermo è quello di un marinaio in Irma la dolce (1963), diretto da un altro ebreo americano: Billy Wilder. Ma poi arrivò il momento magico in cui Caan si emancipò dalle proprie radici in un contesto gloriosamente wasp: l’incontro chiave della sua carriera è con Howard HawksJohn Wayne e Robert Mitchum (che trio!) sul set di El Dorado (1967), il western in cui Hawks e Wayne rifanno i se stessi di Un dollaro d’onore. Caan è Mississippi, un giovanotto in cerca di vendetta con un difetto grave, nel West: non sa sparare, però è velocissimo con il coltello, che tiene nascosto dietro la nuca, infilato nel colletto. È un ruolo con spunti comici, con Mitchum che per tutto il film chiede a Wayne: «Ma chi è quel tizio?», e nessuno sembra sapergli rispondere. È uno schema che funziona: fare un ruolo drammatico mettendoci ironia. Caan capisce l’antifona, e per un po’ di anni non si ferma più. Gira Non torno a casa stasera con Coppola, 40.000 dollari per non morire (che poi è, nientemeno, Il giocatore di Dostoevskij) con Karel ReiszStrade violente con Michael Mann, fa coppia con Barbra Streisand in Funny Lady, incarna un perfetto antieroe distopico in Rollerball. Sono anni – gli anni ’70, i primi anni ’80 – in cui Caan sembra pronto a diventare il nuovo Marlon Brando.

Poi, nel pieno degli anni 80, a Hollywood scoppia una moda pericolosa: la cocaina. E Caan ha un ottimo/pessimo maestro: pare che sul set di Killer Elite, diretto dal genio pazzo Sam Peckinpah, se ne consumassero tonnellate. È un vortice di polvere bianca che brucia un sacco di cervelli, nella Mecca del cinema, e purtroppo Caan ci casca in pieno, come racconterà amaramente anni dopo. Diventa un divo inaffidabile, sul set e fuori, e anche la sua vita privata ne risente.

I ruoli si diradano e diventano sempre meno interessanti. Con gli anni, Caan si ripulisce e torna alla ribalta, magari come caratterista di lusso: sono sicuramente rimarchevoli le apparizioni in Dogville, di Lars von Trier, e nella serie tv Las Vegas, in questo millennio.Ma ormai è tempo di salutarlo, prima che si annoi: un’altra sua frase, nella suddetta intervista, suona «non c’è nulla di più noioso degli attori che parlano di sé». E allora addio, Sonny: sono stati 82 anni sulle montagne russe, altro che Rollerball.

 

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