SALVATORE BIAZZO
Di Antonio Vistocco
Salvatore Biazzo ha lavorato oltre trent’anni in Rai, come redattore, inviato e caporedattore. Ha collaborato a “ Tutto il calcio..”, a “90° Minuto”, alla “ Domenica Sportiva”, al “ Processo” di Biscardi, a “Cronache Italiane”, Tg1 Speciale”, “Tg2 Dossier” e a “ Uno mattina” sin dalla sua fondazione. Tra i suoi libri “ Il mio Napoli” ( 1995, Rai Eri), “ La lingua trasmessa” ( 2003, Ferraro), “Il dizionario del giornalista”( 2007, Rubbettino) e “ Agnes. Un giornalista al potere” ( 2016,Rai Eri). E’ docente presso la Scuola di giornalismo dell’Università di Salerno, fondata da Biagio Agnes. Abbiamo intervistato il grande professionista della comunicazione per farci raccontare : aneddoti, ricordi ed emozioni di questa straordinaria carriera nel mondo del giornalismo , intrapresa da un giornalista di razza .
Come muove i primi passi della sua carriera nel mondo del giornalismo ?
Ho cominciato alla Redazione Provinciale del Roma, a Piazza d’Armi, con Fausto Grimaldi, che mi insegnò tanto. Ma tra gli esempi più cari e importanti, pongo Antonio Nacchettino Aurigemma e Peppino Pisano, dei quali mi mancano gli articoli e le analisi. Poi sono andato via, prima a via Marittima, sempre al Roma, dove conobbi grandissimi professionisti e il famoso comandante Achille Lauro, poi alla Rai, prima a Roma poi a Napoli, dove come sapete ho seguito per tanti anni le vicende sportive della squadra azzurra . Devo dire che sin da giovanissimo ero attratto da questa straordinaria professione, tutto è cominciato alla fine degli anni Sessanta: lavoravo ogni giorno e prendevo il corrispettivo di un pacchetto di sigarette. Ci sono comunque due episodi, per me molto significativi, che risalgono agli anni Cinquanta.
Un giorno ero dal barbiere, mi capitò di leggere – era la prima volta che leggevo un quotidiano – la ricostruzione della morte violenta del bandito Salvatore Giuliano: riflettendo e rileggendo, mi accorsi di errori logici e banali nella ricostruzione della sparatoria. Lo dissi ad alta voce, ma nessuno mi dette credito o attenzione. Pensai che io lo avrei scritto meglio quell’articolo.
Il secondo episodio poco tempo dopo: per caso trovai un settimanale, “Epoca”, e lessi un trafiletto brevissimo di un tizio che si firmava “Ricciardetto” (alias Augusto Guerriero, N.d.A.), ne rimasi folgorato.
Lei ha scritto la prima biografia autorizzata di Biagio Agnes, ci dice che personaggio è stato ?
Certo, con questo lavoro, ho deciso di omaggiare quest’uomo dalla mente eccelsa, al quale è intitolato il centro produzione RAI di Saxa Rubra, scrivendo la prima biografia autorizzata della vita di Agnes, romanzo dell’Italia e della nostra televisione. Agnes divenne giornalista, e uno dei più longevi e illuminati Direttori generali della Rai. Dirigente innovatore e creativo, fu lui a realizzare Televideo, e a ideare “Check-Up”, trasmissione che raggiunse il più alto indice di gradimento mai toccato (90 per cento). Opera sua fu anche la creazione del Tg3, con il quale si perfezionava il disegno politico e aziendale di apertura al Pci, quella che fu definita la “lottizzazione perfetta”. Rappresenta la classe dirigente del Paese, ma fu sempre autonomo rispetto al potere, e della politica si servì nella difesa del Servizio pubblico. La sua vita, insomma, è un romanzo: quello dell’Italia, e della nostra televisione.
A quali dei tanti personaggi intervistati e conosciuti nella sua carriera resta sempre legato?
Sono stati tanti, ma quelli che per me sono fondamentali sono ben tre : Diego Maradona, Pietro Mennea e Geronimo Barbadillo.
1)Di Maradona ricordo quando scomparve in Argentina, io fui inviato dal TG2 per incontrarlo. Dopo 15 giorni di appostamenti, quando lo trovammo, lui uscì dal portone e aveva in mano un piatto di prosciutto per la mamma. Talvolta abbiamo messo sullo stesso piano Pelè e Maradona, beh io voglio dire che di Maradona ce n’è stato uno solo. Le cose che vediamo fare a tanti calciatori oggi, Diego le ha fatte tanti tanti anni fa.Maradona è stato il più grande di tutti, e a noi giornalisti ci ha sempre trattato con il massimo rispetto. Meritava di più dal mondo del calcio, penso ad esempio al pallone d’oro, sebbene all’epoca esso veniva riconosciuto solo ai giocatori europei. E’ fuori ogni discussione che il suo estro e le sue giocate lo rendono un vero e proprio patrimonio del mondo del pallone. Non posso mai dimenticare i grandissimi successi editoriali della Rai dedicate a lui, la gente faceva la fila fuori le edicole ancor prima che le vhs arrivassero, e tutto questo per poter ammirare i suoi gol.
2) Pietro Mennea , oltre ad essere un grande atleta è stato un grande uomo libero . Lo ricordo come un grande campione, come uomo dei record: un uomo sicuramente controcorrente, ha sempre pensato che lo sport dovesse essere qualcosa di ideale, in cui il sacrificio alla fine viene premiato . Sì, forse agli occhi di chi l’ha conosciuto solo superficialmente; ostinato? Pure. Anche se tutti conoscono il duro lavoro e la ferrea tenacia che l’hanno sostenuto ai massimi livelli sportivi per oltre vent’anni. E’ stato l’unico duecentista della storia a raggiungere la finale in quattro consecutive edizioni delle Olimpiadi. Aveva conseguito quattro lauree: Scienze Politiche, Giurisprudenza, Lettere, Scienze Motorie e Sportive. Un intensa attività a Bruxelles in qualità di rappresentante dell’Italia nel parlamento europeo. Da ragazzo del Sud, con la sola forza di volontà e la costante applicazione, sia salito sul tetto del mondo, diventando il re della velocità, l’uomo che ha battuto il tempo. Sono orgoglioso di averlo conosciuto , come detto non solo sul lato prettamente sportivo , anche dal lato umano apprezzando le sue doti di grande uomo.
3) Geronimo Barbadillo nasce a Lima, Perù, il 24 settembre del 1954. Iniziamo così la storia di Gerónimo Barbadillo peruviano che si fece conoscere in Europa nel 1982, quando disputò il Mondiale di Spagna 82 giocando una buona partita anche contro l’Italia e terminata in parità (Italia – Perù 1 – 1 ). Il talento c’è ed è un dono di famiglia del padre Guillermo (25 presenze in nazionale dal ’47 al ’56), eroe dell’Alianza Lima che infiamma il Perù negli anni cinquanta. Barbadilo era amato dai tifosi, le sue giocate sulla fascia e quel dribbling agile e veloce fecero impazzire gli avversari ed il Partenio di Avellino . Era un ala destra pura, tutto corsa e dribbling, con Bergossi e il giovane argentino Ramón Diaz formarono un tridente straordinario. Geronimo Barbadillo rappresentava l’archetipo peruviano nero, ho avuto il piacere di conoscerlo bene e lui mi ha raccontato anche la storia di suoi amici carissimi che erano entrati in Sendero Luminoso un’organizzazione guerrigliera peruviana. Cosi’ nei suoi anni trascorsi in maglia biancoverde è nata una bella amicizia con lui.
E’ stato anche Assessore alla cultura d Avellino ?
Si , credo di aver dato un contributo positivo “Città d’Arte” portando le “Mostre impossibili“, Caravaggio prima, Leonardo dopo, per il loro altissimo valore didattico ed emotivo, si prestavano perfettamente al caso. Hanno fatto fare un salto enorme alla città, ne hanno incrementato l’offerta culturale e turistica, creando nel contempo sviluppo.
I grandi attrattori hanno richiamato gente anche per i piccoli attrattori, come la riscoperta di artisti dimenticati (Faustino De Fabrizio) o di artisti presenti sul territorio come Spinello, Vallifuoco , Iaccheo, Marano, Rosapane, Mingarelli, Serio, l’architetto Russomanno, Antonello Matarazzo, i maestri presepisti, eccetera. Io credo che : città d’arte non è soltanto la città che possiede “x” monumenti, ma quella che sa anche proporsi come centro di cultura. Come ho già ribadito in passato , “Città d’arte si nasce ma lo si può anche diventare se, sulla pretesa densità delle testimonianze storiche e artistiche, prevale la valenza culturale, quando essa però rappresenti il tratto imprescindibile, fortemente connotativo, identitario, della città“. Di testimonianze Avellino ne conta numerose e di indubbio valore: dal Castello Longobardo, del IX secolo con l’obelisco seicentesco di Carlo II del Fanzago , dalla Casina del Principe , alla Torre dell’Orologio del XVII secolo. Tanto per fare qualche nome delle bellezze culturali avellinesi.
Se non avessi intrapreso questa professione chi sarebbe stato Salvatore Biazzo ?
Forse sarei stato un avvocato , o più precisamente come voleva mio nonno come da tradizione di famiglia un commerciante.
Da docente di giornalismo, come vede il futuro della professione guardando in particolare al rapporto con internet e alle nuove forme di giornalismo ?
L’idea romantica del giornalista con la macchina da scrivere, la sigaretta, che trascorre le notti in attesa dell’ultima notizia, oggi appartiene alla letteratura. Il giornalista contemporaneo è multimediale: deve essere capace di muoversi utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Per certi versi il giornalista di domani sarà come il medico condotto di una volta: saper far tutto e bene, ma soprattutto dovrà saper utilizzare tutte le nuove tecnologie .La prima vera rivoluzione del giornalismo, la nascita stessa del giornalismo moderno, avvenne grazie all’invenzione della stampa con i caratteri mobili di Gutenberg. L’avvento della macchina e delle rotative ne accelerò la diffusione, il telefono accorciò i tempi di trasmissione di una notizia e lo stesso modo di fare il giornalismo. Poi le tecnologie hanno creato il villaggio globale, nel quale la notizia non tarda venti giorni come nell’Ottocento ma arriva in tempo reale. Oggi la tecnologia non sta trasformando l’informazione, si sta invece sostituendo ad essa. Internet è il regno dei blog e dei giornali on line, dobbiamo capire come utilizzare al meglio questo potente mezzo di comunicazione.
Progetti futuri da realizzare?
Sono tanti, tra cui un grande progetto nazionale importante che riguarda la musica, ne sapremo di più tra qualche mese.