Robert Anthony De Niro
Nasce come Robert Anthony De Niro il 17 agosto 1943, quello che è, probabilmente, destinato ad essere ricordato come il più grande “camalonte” della Storia del Cinema mondiale. Nelle sue vene, naturalmente, scorre sangue italiano da ambedue i genitori.
Caposcuola, capofila, vessillifero e interprete sommo della generazione dei “giovani leoni” Hollywoodiani figli dell’ “Actor’s Studio” e del “metodo Strasberg” che, dall’inizio degli anni ’70 in poi soppiantarono la generazione di Laurence Olivier e John Wayne.
Premi, riconoscimenti ed elogi della critica non si contano per lui, e saremo costretti a un veloce “volo d’uccello” per via dello spazio tiranno, laddove non basterebbe un’enciclopedia a dar conto delle “performances” da sogno messe insieme da questo autentico fuoriclasse del Grande Schermo, lungo gli oltre 50 anni di una carriera strepitosa.
di Giuseppe Christian Gaeta
E allora diremo subito che il suo esordio (non accreditato) e del 1965, poco più di una comparsata, nel famoso “Tre camere a Manhattan” di Marcel Carné. Poi, dopo una gavetta durata per ben altri 10 titoli (nei quali riesce comunque a lavorare con registi del calibro di De Palma per ben 3 volte e Corman…), arriva l’anno e il film della svolta: siamo nel 1973 e dal suo primo incontro col Maestro Martin Scorsese nasce il suo primo capolavoro recitativo: quel “Mean Streets” che, per la prima volta, lo vedrà alle prese col mondo della mafia newyorchese di Little Italy a cui tornerà tantissime volte in seguito: pioggia di critiche positive per lo scapestrato Johnny Boy/De Niro e “National Society of Film Critics Awards” come miglior attore non protagonista del ’ 73, per lui. Al “giro” successivo è già tempo di oscar (7 candidature e 2 vittorie per lui in totale) : assolutamente indimenticabile è infatti, nel 1974, l’interpretazione che dà del “Padrino” da giovane nel pluripremiato “Il Padrino parte II” agli ordini di un altro mito della cinematografia mondiale: Francis Ford Coppola già autore del primo capitolo qualche anno prima.
Da qui in poi praticamente solo trionfi: ancora con Scorsese 2 anni dopo, nel 1976, per la magistrale interpretazione del tassista Travis Bickle in “Taxi Driver”: il suo personaggio è alienato e alienante, straniato e straniante, politicamente e ideologicamente scorretto, e capace di raccontare una New York “brutta, sporca e cattiva” come mai si era vista prima al cinema: la Palma d’Oro al Festival di Cannes è quasi d’obbligo. Dello stesso anno è la sua partecipazione da protagonista assoluto a uno dei più grandi Kolossal ideologici di tutti i tempi : “Novecento” (diviso dalla produzione in “atto primo e “atto secondo”per via della durata di oltre 5 ore 1/2) di Bernardo Bertolucci: racconta la storia della lotta di classe durante 5 decadi del “secolo breve”, vede il più grande sventolio di bandiere rosse della storia del cinema, pagato con denaro americano e vanta un cast stellare (tra gli altri: oltre a De Niro/ Alfredo Berlinghieri spiccano il coprotagonista Gérard Depardieu: Olmo Dalcò e poi Burt Lancaster; Donald Sutherland; Dominique Sanda ;Alida Valli; Sterling Hayden;Stefania Sandrelli; Laura Betti: Romolo Valli ecc.ecc.): accoglienza trionfale in Europa ( a Cannes per la “prima” dovette intervenire la forza pubblica, talmente era grande la ressa) molto meno (e si capisce bene perché) negli U.S.A. resta uno dei film più chiacchierati e imitati della storia del cinema.
De Niro grande come al solito nei panni del “figlio del padrone” Alfredo, contro di lui “il figlio del contadino” Olmo/Depardieu: saranno amici/nemici per 40 anni. Scena · finale indimenticabile. Con delicatissimo garbo ancora nel 1976 (anno magico!) tratteggia la figura indelebile di Monroe Sthar produttore cinematografico melanconico e innamoranDo in “Gli ultimi fuochi” di Elia Kazan. Resterà celebre e memorabile il suo (unico) incontro/scontro cinematografico con Jack Nicholson sul set di questo sofisticato melò di fine decennio. Subito dopo (1977) è l’anno di “New York, New York”: ancora di Scorsese, l’accoppiata con Liza Minnelli è da storia del cinema : De Niro è Jimmy Doyle asso del sax ed “amatore folle”:per chi ama il jazz, e in particolare, la canzone del titolo, è un “must” assoluto.
Drammaticissima e intensissima è la “pittura” del ’78: con il grande maestro Michael Cimino gira il crudissimo “Il cacciatore” sul dramma della guerra del Vietnam: 9 nomination e 5 oscar per la pellicola. De Niro becca la nomination per “best actor”(meritava l’oscar), Christopher Walken prende l’oscar per il miglior non protagonista. C’è pure Meryl Streep. La scena della “roulette russa” fra i due resta una delle più famose e citate della storia del cinema (passa poco in tv a causa della sua fama maledetta: pare che a ogni proiezione aumenti il numero dei suicidi fra gli spettatori….). Il crescendo rossiniano continua un paio di anni dopo con “Toro scatenato” ancora di Scorsese: secondo molti la migliore interpretazione di sempre del divo italo-americano: la storia del pugile italo americano Jake La Motta è narrata in bianco e nero con poesia e violenza di pari intensità: per fare La Motta da vecchio De Niro ingrassa 35 kili ed è praticamente irriconoscibile!!! (altro che “effetti speciali” di oggi…) e si riprende il maltolto di due anni prima: oscar come migliore attore del 1980.
Dovuto e incontestabile. “Jake il toro non si frena, Jake il toro si scatena” ! Non pago del premio testè ricevuto l’anno dopo (1981) se ne va a Venezia con il “noir” di Ulu Grosbard “L’assoluzione” in cui racconta la storia vera della tragica fine della “Dalia nera” : starlette della Hollywood della fine degli anni ’40 che sarà trovata morta e tagliata a metà (!) non lontano dagli “studios” : premio “Fenice” “ex-aequo” a lui e al suo coprotagonista Robert Duvall al festival di Venezia. Ancora per la regia di Scorsese è lo splendido “Re per una notte” del 1983: De Niro giganteggia al fianco di uno straordinario Jerry Lewis (qui in una grande prova drammatica!): è infatti Robert Pupkin comico fallito di quart’ordine che millanta un’amicizia fraterna proprio con Jerry Lewis che fa stesso: dapprima capace di suscitare grande ilarità, la trama prenderà via via una piega sempre più drammatica, fino al catartico finale:anche questa un’interpretazione magistrale del “grande camaleonte”.
Per “C’era una volta in America” ci vorrebbe un articolo a parte: ultimo film del GIGANTE Sergio Leone è erroneamente considerato un “gangster movie”. In realtà è un grande film sull’Amicizia (rispettata e tradita), probabilmente il più grande film sull’amicizia di tutti i tempi. E’ film preferito di chi scrive, e non si contano le citazioni nei decenni successivi. Circondato da un cast di prim’ordine (Woods, Joe Pesci, Beth Mc Govern, Burt Young) De Niro dà vita a quello che è, forse, il suo personaggio maggiormente conosciuto: quel “Noodles” cresciuto a Little Italy capace di incarnare la storia di un’intera generazione di cenciosi emigranti che si arrampicano, con ogni mezzo, verso il successo. Le battute da storia del cinema non si contanto, una fra tutte: -“Noodles, cosa hai fatto in tutti questi anni?” – “sono andato a letto presto” . Finale metafisico. Il 1984 non è l’anno del Grande Fratello (come vedremo, quello sarà il 1985…) ma l’anno di “Innamorarsi”, magnifico melò in cui il nostro (qui in coppia con una strepitosa Maryl Streep) dimostra di saper recitare (eccome!) anche la parte dell’uomo romantico in un film strappalacrime ancora per la regia di Grosbard. Gli amanti del genere versano ancora qualche lacrimuccia quando ci ripensano.
Come detto prima, però, per De Niro è il 1985 “l’anno del Grande Fratello” o meglio di “Brazil” del visionario Terry Gilliam, trasposizione cinematografica molto alternativa e ardita del superclassico della fantascienza “1984 – l’anno del Grande Fratello” di George Orwell. De Niro appare per una manciata di minuti nei panni di un terrorista travestito da tecnico dell’aria condizionata (!), ma la sua classe immensa rende anche questa una “comparsata” indimenticabile per gli amanti del genere. Nel 1986 con “Mission” di Roland Joffè, sulle note dell’indimenticabile colonna sonora di Morricone, insieme a Jeremy Irons, nei panni del missionario redento Rodrigo Mendoza denuncerà l’immane strage compiuta dall’esercito portoghese, con l’aperta complicità della chiesa cattolica romana, a metà del secolo XVIII° nei confronti degli indios locali, per colonizzarne forzosamente le ricche e fertili terre. Sarà ancora Palma D’oro a Cannes. Luciferina e indimenticabile è poi la pellicola dell’anno dopo . “Angel Heart – ascensore per l’inferno” (1987) in cui De Niro incarna le fattezze di un raffinatissimo e ambiguo Diavolo che, in un thriller sulfureo a struttura “circolare”, mette l’ignaro ed esuberante investigatore privato Mickey Rourke sulle tracce di se stesso.
Altra interpretazione rimasta nella memoria dei fans. Così come resterà indimenticabile la sua rappresentazione di Al Capone nel più classico “gangster movie” di De Palma “Gli Intoccabili” : battuta da tramandare ai posteri : “sei solo chiacchiere e distintivo !!” gridato in faccia ad un beffardo Kevin Costner/Eliot Ness, al colmo di una indimenticabile partita a scacchi tutta “lacrime e sangue” . Dopo alcune pellicole così così, attendiamo poi il 1990 per rivederlo in grande spolvero per la regia di ancora una volta di Scorsese in “Goodfellas – Quei bravi ragazzi”: insuperato spaccato della Mafia italo-americana dagli anni ’50 fin quasi ai giorni nostri. Il magnifico De Niro/Jimmy Conway del film insieme con Joe Pesci, Ray Liotta (protagonista principale), Paul Sorvino ecc. dà vita a un “quadro a tinte fosche” che resta nell’immaginario degli spettatori per anni. Le citazioni si sprecheranno negli anni a venire. Successivamente dopo varie comparsate dimenticabili, è sicuramente degno di nota “Cape Fear – Il promontorio della paura” remake del superclassico di J. Lee Thompson del ’62. Magari qui De Niro perde la sfida a distanza con l’inarrivabile Robert Mitchum dell’originale, eppure anche il suo cattivissimo Max Cady persecutore del suo ex avvocato Sam Bowden (Nick Nolte) e della sua famiglia, resta nella mente degli “afficionados” per molti anni.
Dopo essersi esercitato pure alla regia con discreto successo (“Bronx” del 1993), e dopo vari lavori dimenticabili, torna a sorprendere tutti impersonando un irriconoscibile Mostro di Frankestein in “Mary Shelley’s Frankestein” di Branagh (1994) segnando così anche una convincente incursione nel cinema horror d’autore. Seguiranno lo stupendo “Casinò” del ’96 ancora una volta al servizio di Scorsese, in cui narrerà la storia (semi)vera di uno dei fondatori di Las Vegas : qui ribattezzato Sam “asso” Rothstein ci farà vedere tutti i trucchi da mago nascosti dietro il tendone da circo dei gestori di casinò della cittadina del Nevada. Così come capiremo tutto il marcio che si annida dietro l’origine mafiosa dei capitali che ne muovono le fila. Colonna sonora da sturbo e cast d’eccezione gli faranno da corona per una prova d’attore davvero magistrale. Dell’anno dopo (1995) è la superfida attoriale con Al Pacino nel thriller/noir “Heat-la sfida” agli ordini di Michael Mann. I due non si incrociavano dai tempi del “Padrino parte II” e anche lì fu solo per una scena. Faranno scintille e terranno gli spettatori di mezzo mondo incollati alla sedia per tutti i 170’ del film. La sua interpretazione “magnetica” costringerà inoltre, molti in platea a tifare smaccatamente per il “cattivo”. E ho detto tutto.
Con “The fan” racconterà le ossessioni da ricovero di un fan per un campione di baseball (1996 di Tony Scott) tema molto attuale, e con “Sleepers” di Barry Levinson (1996) farà parte di un supercast per una perfetta macchina ad orologeria a tinte ultrafosche. Con il sorprendente “Wag the dog – Sesso e potere” sempre di Levinson l’anno dopo (1997) incrocerà il cammino e dividerà lo schermo con un altro fuoriclasse della sua generazione: Dustin Hoffman. Insieme inventeranno letteralmente una guerra in Albania di sana pianta (!!) per salvare il posto e il culo del Presidente Americano nelle imminenti Presidenziali. Un film che è un apologo sulla inafferrabilità della realtà e della verità nell’era dei media e che fa riflettere molto su ciò che vediamo giornalmente in tv e sui giornali di mezzo mondo. Con “Jackie Brown” (1997) dimostra di poter benissimo entrare nella modernità, lavorando alla grande con un ispiratissimo Quentin Tarantino in uno scatenato girotondo intorno a un “grisbì” che fa gola a tutti i protagonisti della pellicola.
Con “Terapia e pallottole” (1999) prima e “Ti presento i miei” poi (e loro vari sequels), dimostra di essere capacissimo di far ridere anche come attore comico e in commedie leggere. Ancora con Barry Levinson (2008) ci svela in “Disastro a Hollywood” l’interessantissimo e ambiguo mondo che sta dietro le quinte dei Produttori cinematografici della “fabbrica dei sogni”. Poi va un po’ in calando in quanto, per sua stessa ammissione, pensa solo a continuare a lavorare nel mondo del cinema cosa che gli piace tantissimo, senza badare più di tanto alla “consistenza” del copione e,perché, soprattutto ha intenzione di continuare a divertirsi tantissimo recitando.
In ogni caso acchiappa l’ennesima candidatura all’oscar come non protagonista nel 2012 con una ottima interpretazione ne “Il lato positivo” e dimostra ancora di saper sorprendere e commuovere in una commedia agro-dolce meno scontata di quanto si possa pensare con “Lo stagista inaspettato” del 2015. E già si aspetta “The Irishman” ancora una volta, manco a dirlo, per la regia del suo amico Scorsese. Se ne dice già un gran bene e, pare, che sia la sua migliore interpretazione da anni a questa parte. I fan del Grande Camaleonte, sottoscritto compreso, sono già in trepidante attesa….