Cinema

“Gli spiriti dell’isola” di McDonagh

Il film del regista britannico Martin McDonagh commentato per noi da Paolo Colucci

Pádraic Súillebeabháin\Colin Pharrell è il malinconico mandriano protagonista di “The Banshees of Inisherin”, l’ultimo film di Martin McDonagh. Scritta e diretta dal regista britannico, la pellicola ha stravinto un po’ ovunque (tre Golden Globe) ed è candidata a ben nove Oscar.

 

Tutto comincia come una normale novella campestre ambientata in un villaggio irlandese nel 1923, in piena Guerra civile, dove il mandriano dell’isola inventata di Inisherin, Irlanda, vive con la sorella Siobhán Súilleabháin\Kerry Condon e l’asinella Jenny. La piccola comunità imperturbata è lontana dalle vicende che si svolgono sulla terra ferma. I giorni passano tutti uguali in una routine grigia, all’ombra di un cielo perennemente nuvoloso tra immensi prati verdi a strapiombo sull’Oceano. Poi all’improvviso il vecchio violinista Colm Doherty\Brendan Gleeson decide di non rivolgere più la parola al grande amico di Pàdraic. Lui, l’anima gentile dell’isola, non se ne dà pace. Si inventa una scusa dopo l’altra per ricucire il rapporto inspiegabilmente interrotto, finché Colm non minaccia di tagliarsi un dito per ogni volta che il mandriano verrà a importunarlo. Così il silenzio diventa prepotentemente il fulcro del film. Il silenzio invocato da Colm, il suonatore Jones di questa Spoon River celtica, tutto intento alla composizione di un brano per violino che lo riscatti dal nulla a cui è condannata la sua esistenza. Il silenzio come risposta alla domanda di amicizia. Ma anche il tema della solitudine, dell’assenza e della dipartita come abbandono del nido originario oltre che come passaggio da questo all’altro mondo. “Non resti?” è la domanda che rivolge il fratello a Siobhán che va a vivere in città. Non sa dell’offerta di lavoro ma sembra già sapere da un pezzo che prima o poi sarebbe arrivato il momento dell’addio. Questo “prima o poi” è forse il leitmotiv del film.


Le inquadrature aeree tolgono il fiato per la loro bellezza ed evidenziano quanto sia asfissiante la condizione esistenziale dei personaggi, battuti dal vento come le pietre nere della costa. Gli elementi perturbanti sono innumerevoli, ironici e tragici come nei classici: il musicista che si taglia le dita, quell’aria di incesto – da Pádraic e la sorella, al poliziotto e il figlio –, l’imprevedibile scemo del paese, la vecchia banshee che vaticina disgrazie, il prete che si picca se gli si dà dell’omosessuale. Eppure è tutto così equilibrato, fotogenico, godibile. 

 

È un film inclassificabile perché ha tutto quello che gli serve. Raccontare il villaggio degli uomini – un po’ Stepančikovo, un po’ Whinesburg – nella sua cruda verità. Senza voler necessariamente impressionare il pubblico. Vuol solo dirci le cose come stanno.

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