Cinema
L’UOMO DEL LABRINTO di Donato Carrisi
Visti per noi - la recensione dei film di Giuseppe Christian Gaeta

Seconda fatica cinematografica per il più noto giallista italiano degli ultimi anni. Già assurto agli onori delle cronache per la trasposizione filmica del suo libro”La ragazza nella nebbia”, Carrisi ci riprova e, secondo me, fa centro di nuovo. Con un giallo forse più imperfetto e meno lineare del precedente, ma più audace, con obiettivi più alti e una “resa” di gran lunga superiore a quella del cinema italiano medio, ma soprattutto “diversa”.

Supportato da due calibri GIGANTESCHI come Toni Servillo e Dustin Hoffman (!!), e da una sorprendente Valentina Bellè, il neocineasta Pugliese tira fuori un film che oscilla sapientemente tra il “noir”e il giallo, dal sapore potentemente “sulfureo” che tiene incollato lo spettatore alla poltrona fino all’ultimo, spettacolare, fotogramma (cui è richiesta attenzione PARTICOLARE durante tutta la visione…).

Luogo e città imprecisate, come da tradizione di Carrisi, Samantha Andretti Teen-ager (l’ottima Bellè) in giro per la falsamente rassicurante città mattutina, viene “risucchiata” all’interno di un mysterioso furgone bianco e sparisce nel nulla. Verrà ritrovata tempo dopo e per far luce sul mystero di chi l’abbia rapita, rinchiusa nel labirinto del titolo e torturata per lungo tempo, verranno chiamati due protagonisti che più antitetici non si potrebbero: il Dr. Green (un Dustin Hoffman da urlo) psichiatra raffinato, competente e metodico, incaricato di sondare i segreti racchiusi nella sua mente, e l’investigatore privato Bruno Genco che agisce invece “sul terreno” (un Servillo da paura): un brutto ceffo sul viale del tramonto, sempre mal vestito, poco attento all’igiene personale e che non è mai andato oltre il recupero crediti e gli incidenti d’auto, nella sua poco luminosa carriera.

Questo caso però potrebbe rappresentare il “colpo d’ala” della sua vita e lui vuol assolutamente arrivare prima di Green a scoprire il colpevole del rapimento: e c’è un’importante “perché”…inseguendo un’ombra dalle demoniache fattezze d’un coniglio gigante (!), Carrisi cita se stesso (“la ragazza nella nebbia”), “Donnie Darko” (naturalmente), “Sin city” e altri 4/5 capodopera del genere.

La narrazione è serrata e piena di sussulti, ed alla fine una serie di colpi di scena “alla Carrisi”, metterà a dura prova la comprensione dello spettatore colpevolmente distratto. E farà rimuginare per alcuni minuti anche quello più attento… La critica, perlopiù l’ha biasimato, il pubblico si è diviso; per il sottoscritto è sicuramente PROMOSSO. Per il semplice fatto che non amo vedere sempre le stesse cose stereotipate al cinema (soprattutto nel cinema “di genere”) e che mi piace essere sorpreso.
E Carrisi mi ha sorpreso (non per l’identità del colpevole, ma per il MODO e la MANIERA in cui ci si arriva…). Spero continui a fare cinema. Io andrei sicuramente a vederlo. Per amanti del genere “giallo cervellotico” e dei grandi attori.