Il Timoniere del Basket Partenopeo
Intervista allo storico Presidente del Napoli basket Nicola De Piano
Da Solofra con amore. Perché tale è stato il suo rapporto con una città che lo ha assorbito totalmente, formandolo come uomo e riconosciuto professionista. Genio, intuito, fiuto, passione per il rischio e quella schiettezza tipica di chi non deve chiedere nulla a nessuno: Nicola De Piano aveva tutto del napoletano perfetto, e certamente non si poteva dire di lui che fosse uno di poche parole. Lui, l’Ingegnere che fece costruire centinaia di alloggi per i terremotati dell’Irpinia, e che a un certo punto si inventò persino editore televisivo acquisendo la storica emittente Teleoggi. Aveva 46 anni, De Piano, quando nel 1978 decise che il basket sarebbe diventata una sua fedele compagna di vita. Bisognava rinverdire i fasti di quella Partenope che, prima di collassare in serie B, aveva regalato a Napoli una Coppa delle Coppe (qualche mese fa il quarantennale del trionfo), disputando un filotto di stagioni competitive in A. Era il roster di Manfredo Fucile, Vincenzo Errico e Jim Williams, sotto l’egida di coach Tonino Zorzi. Nel 1981 l’approdo in A2 dopo un trittico di fuoco con l’Italcable Perugia. E poi il secondo ritorno in A1 nel 1987 con la vittoria decisiva sulla Fortitudo Bologna: quel giorno il Mario Argento – con oltre 10mila spettatori – era un pentolone bollente, e non solo per il caldo. Sarebbero stati 16 anni intensi, sensazionali, vissuti come immersi in una favola eterna. De Piano ha vinto quella scommessa, tenendo viva l’immanenza di una tradizione così blasonata. Tutto ciò anche in nome di un legame che ormai unisce dal Cinquecento Solofra e Napoli, che storicamente si è giovata dell’ingegno di tanti professionisti e studiosi solofrani. E anche oggi il suo posto è lì, a due passi dal mare, dove vive ormai da decenni. “Il Covid? Adda passà a’ nuttata – la sua battuta iniziale -. Ma io sapevo che il caldo ci avrebbe dato una mano…”.
E’ stata una esperienza degna di essere vissuta, Ingegnere…
“C’ho rimesso tanti soldi, più di 40 miliardi di vecchie lire, ma ne sono orgoglioso. Col basket c’era solo da perdere, non era come il calcio. Ho investito per passione, per amore di questa città, per un senso di sfida. Ognuno ha i suoi vizi e utilizza i propri soldi in funzione di quelli. Io avevo il vizio del basket. Sono stati anni d’oro ma pieni di sogni e di soddisfazioni. Come dimenticare i duelli con Varese, con la mitica Benetton Treviso, con Virtus e Fortitudo Bologna. O i derby con Caserta, con cui militava Oscar, un giocatore che mi era sempre piaciuto. La Juve aveva un autentico signore come presidente, Giovanni Maggiò. E col figlio Gianfranco sono rimasto a lungo in ottimi rapporti. C’era rivalità sportiva, certo. Ma soprattutto amicizia e rispetto reciproco. Sono ricordi indelebili quelli che mi legano al mondo del basket. Ho conosciuto personaggi di alto livello come Antonio Bulgheroni, Gilberto Benetton, Gianluigi Porelli. Erano i tempi in cui Gianni De Michelis era presidente di Lega. Persona in gamba, il ruolo lo meritava tutto. Qualsiasi problema si presentasse, era capace di affrontarlo nel dettaglio e di parlarti anche per mezz’ora di fila. Il compianto Lello Barbuto, un grandissimo tifoso, un giorno mi disse che, dopo di me, il basket a Napoli avrebbe incontrato diverse difficoltà. E così è stato. Ma sono in molti a chiedermi ancora oggi, “Ingegnere, perché andò via? La gente riconosce ancora in me l’alfiere del basket a Napoli. Noi abbiamo fatto cose incredibili in quegli anni, e ricordo ancora con piacere le visite dei giocatori del Napoli alle nostre partite. Spesso veniva anche Maradona”.
Berry, immensamente Berry.
“Ce lo invidiavano tutti. Un campione assoluto. Ce ne volevano tre per provare a mantenerlo, e nel frattempo gli esterni come Sbaragli o Ragazzi si liberavano al tiro. Ma la bravura era tutta di Walter. Aveva una capacità di attacco al canestro incredibile, era una molla. E questo gli consentiva di andare a schiacciare con estrema facilità. Certo, non aveva un carattere facile, si sa. Picchiò un allenatore e fu cacciato dalla NBA. Solo io potevo tenergli testa e gestirlo. E se era il caso lo multavo, lo punivo. E lui si ammorbidiva. Dopo Berry, un altro giocatore fortissimo che ho avuto era Alex English. Lee Johnson pure è stato un campione assoluto. Aveva un tiro da tre micidiale. Un’altra mia intuizione è legata a Marco Bonamico. Credevo molto in lui e lo presi che era infortunato. Il nostro medico lo mise a posto e il suo rendimento lo conoscono tutti”.
E perché non parlare anche degli allenatori
”Una lista infinita di maestri.Zorzi, Taurisano. E poi Novosel, che essendo conosciuto in tutto il mondo, ci aprì nuovi orizzonti. Andammo a giocare in Jugoslavia, in Germania. Aveva capacità relazionali e conoscitive enormi”.
E’ mancata solo la ciliegina tricolore a quei tempi.
“Non avevamo grande potere politico in Federazione. Con l’allora presidente, Gianni Petrucci, avevo un buon rapporto, mi difendeva. Ma tutto il Consiglio mi contrastava perché io non avevo peli sulla lingua. Questo provocava le loro vendette. C’era anche attrito tra la Lega, rappresentata da Gianni De Michelis, e la Fip”.
Vedere il Palargento ridotto a un rudere provoca rabbia e nostalgia, per chi ogni tanto transita da quelle parti.
“Ricordo che l’impianto di illuminazione era inadeguato. A volte demandavo a Teleoggi, che era di mia proprietà, il compito di provvedere a quest’onore con le proprie apparecchiature, altrimenti la partita non si sarebbe mai fatta. Era difficile anche cambiare una lampadina se si fulminava. Per non parlare delle infiltrazioni. Insomma, mi sono occupato anche della manutenzione del Palazzetto. Comunque il Mario Argento era un’opera d’arte, un impianto che trasudava storia. Bisognava ristrutturarlo e rinnovarlo”.
Perché la scelta di mollare tutto nel 1994?
“Ero molto amico dell’avvocato Rossini. Io ormai ero stanco, avevo lavorato tanto, non potevo più andare avanti. Lui mi chiese di poter prendere la società per portarla a Battipaglia. Gli regalai il club, che comunque il primo anno giocò a Napoli. Peccato che in fin dei conti il suo progetto non durò molto”.
Qual è la sua partita del cuore?
“Una vinta a Varese ai supplementari. Avevamo di fronte un avversario galattico. Ricordo anche una lezione inflitta alla Virtus Bologna, un’altra super squadra. La sera andammo a cena da Ciro a S. Brigida con l’avvocato Porelli, il quale era ancora molto contrariato e nervoso. Qualcuno fece una battuta sulla sconfitta e lui rispose in modo colorito, era nella sua indole…”.
Un ricordo di Enzo Caserta?
“E’ stato una vita con me. Aveva un carattere forte: lui partiva sempre dal presupposto di non favorire la concorrenza, e per questo preferiva tenere nel roster anche i giocatori che avevano poco spazio e che forse avrebbero potuto essere valorizzati di più altrove. Magari aveva i suoi motivi”.
Un desiderio?
“Che qualcuno ripercorra le mie orme, per longevità e competitività. Napoli ha bisogno di rivivere quei magnifici anni ’80. Deve farlo con un presidente duraturo e non da meteora. Dopo di me, questo non è mai più accaduto”.