MODA SOSTENIBILE : COME CI VESTIREMO NEL FUTURO ?
La produzione di un paio di jeans richiede tra i 7.500 e i 10.000 litri di acqua; il settore moda incide per il 10% delle emissioni di gas serra, ma la sostenibilità sembra stia diventando sempre più fashion grazie all’abbigliamento del futuro.
Le abitudini di acquisto che l’industria del fast-fashion promuove, con nuovi prodotti che vengono continuamente lanciati sul mercato, con tessuti sintetici e a prezzi stracciati, sta impattando enormemente sulla salute del nostro pianeta.
Come mette in evidenza la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), tra il 2000 e il 2014 la produzione di capi di abbigliamento è più che raddoppiata contestualmente all’aumento del 60% dell’acquisto di vestiti da parte del consumatore medio.
Con questi ritmi di crescita il sistema della moda è arrivato ad impattare per oltre il 10% sull’emissione di gas serra generato da attività umane e produce il 20% di acque reflue totali.
A questi problemi si aggiungono le recenti scoperte che vedono l’industria del tessile come uno dei principali indiziati per la presenza di plastica negli oceani, per via dell’uso sempre più esteso di materiali sintetici.
Stare al passo con le ultime tendenze è diventata una scelta insostenibile non tanto dal punto di vista economico quanto più in termini di tutela dell’ambiente.
Come si può leggere dalla pagina dell’UNCE (https://unece.org/forestry/press/un-alliance-aims-put-fashion-path-sustainability): “L’ONU è impegnata a cambiare il percorso della moda, riducendo il suo impatto sociale, economico e ambientale negativo e trasformandolo in un motore per l’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”.
Dal 2018 il settore tessile sta cambiando rotta e punta ad una moda sostenibile, potremmo aggiungere che la direzione intrapresa sembra volgere sempre più verso una moda che si fa sostenibile e inclusiva anche nelle forme e nei colori di chi indosserà i vestiti del futuro.
Lo stesso Giorgio Armani in un’intervista rilasciata a maggio 2021 per la rivista Vogue esprime le proprie preoccupazioni per una moda che corre troppo e che a volte diventa volgare.
Vestirsi è una necessità ed esprimere se stessi attraverso l’outfit è un diritto di ognuno ma per Armani il buon gusto e il vestire bene non necessitano di una spesa quotidiana.
Inoltre, dichiara che circa il 60% dell’intera produzione delle case di moda resta invenduta o scartata.
Senza contare che ogni anno il Regno Unito conta ben 350.000 tonnellate di vestiti finiti nelle discariche.
Preferire capi di abbigliamento più classici e che non passano di moda permette di indossarli più a lungo nel tempo. È stimato che prolungare di nove mesi l’uso di un capo aiuta a ridurre il suo impatto ambientale di almeno il 20%.
L’abbigliamento del futuro guarda a nuovi processi eco-sostenibili
Quanto impatta la produzione di un solo paio di jeans oggi?
- Si impiegano dai 7.500 ai 10.000 litri di acqua che sono l’equivalente di quanta acqua potabile occorrerebbe ad una persona nell’arco di 10 anni;
- I coloranti impiegati sono spesso altamente inquinanti per le popolazioni acquatiche e possono facilmente raggiungere le acque potabili;
- I materiali sintetici di origine plastica, come l’elasten che viene usato per rendere più elastici i jeans attillati, rende complicato riciclare i tessuti e durante i lavaggi in lavatrice o buttando via il capo questi materiali acutizzano il problema delle microplastiche nell’ambiente;
- L’intero processo produttivo, a partire dalla produzione di tessuti e fibre, fino all’utilizzo del jeans e il suo smaltimento in discarica, produce circa 33,4 Kg di anidride carbonica.
Cosa si può fare per ridurre questi dati e avvicinarsi sempre più ad avere degli abiti in futuro più sostenibili?
È a questa domanda che cerca di risponde il settore della moda modificando le tecnologie di produzione, puntando sul riciclo dei tessuti, incentivando lo scambio dei capi di abbigliamento di seconda mano tra le persone e cercando materiali innovativi a basso impatto ambientale.
Ad esempio, la scelta di jeans più grezzi, quindi meno lavorati contribuisce a limitare, seppur in piccola parte, l’impatto ambientale.
Inizia a diventare sempre più facile trovare capi di abbigliamento conformi ai nuovi programmi di certificazione che interessano sia la produzione dei tessuti sia la loro trasformazione.
Esempi di questi programmi sono quelli attuati dall’associazione senza scopo di lucro, Better Cotton Initiative (BCI) (https://bettercotton.org/) oppure che rispondono agli standard GOTS, Global Organic Textile Standard.
Il sistema di garanzia della qualità GOTS si basa sul rilascio di certificazioni derivanti da attività annuali di controllo.
Solo in questo modo tessuti e capi di abbigliamento possono essere etichettati GOTS. Tra gli elementi di valutazione per ottenere la certificazione ci sono i metodi di lavorazione, la sicurezza del personale, la gestione dei reflui ecc.
I programmi e gli standard esistenti nel mondo permettono di tutelare il consumatore che può fare una scelta consapevole e sostenibile, qualora lo volesse.
L’abbigliamento del futuro non sarà solo quello certificato.
Secondo alcuni esperti il 65% dei vestiti che indossiamo oggi sono prodotti a partire da polimeri sintetici, come polimeri di poliestere.
Le stime ci dicono che per produrre questi sintetici occorrono 70 milioni di barili di petrolio (unità di misura per il petrolio) all’anno.
Lynn Wilson, dell’Università di Glasgow si occupa di indagare il comportamento dei consumatori circa lo smaltimento dei vestiti.
Dai suoi studi emerge che l’abbigliamento in poliestere risulta facile da pulire, pratico, duraturo e versatile e per questi motivi viene scelto.
Un primo passo per ridurre l’impatto dovuto al sintetico è il riciclo del poliestere per la produzione di nuovi abiti, ma questa risulta una soluzione tamponante che però non può essere considerata definitiva. Il poliestere impiega secoli per decomporsi.
Allo stesso modo, l’ingente uso di pesticidi nella produzione di tessuti naturali, come lino o cotone impatta enormemente sulla salute del pianeta recando danni alla biodiversità faunistica e vegetale.
Le innovazioni per i materiali dei vestiti del futuro
Oltre alle attenzioni che si stanno avendo in questi ultimi anni per ridurre l’impatto ambientale del settore della moda, sono nate diverse start up che stanno studiando tessuti completamente green per i vestiti del futuro.
Probabilmente ci vestiremo con bucce di arancia, oppure dovremmo fare attenzione ai nostri jeans che si auto decomporranno.
In Trentino un’azienda produce sneakers vegane e biodegradabili con gli scarti delle mele usate per l’industria alimentare.
Mentre la Recover Upcycled Textile System impiega una tecnologia a impatto 0 per la realizzazionie di fibre di cotone colorato dal riciclo di vecchi tessuti appositamente raccolti.
Il Gruppo Kering, conosciuto anche come il Gruppo mondiale del lusso, comprende diversi marchi del settore dell’alta moda, della pelletteria e della gioielleria. È firmatario, insieme ad altri nomi del fashion di un documento chiamato la Carta per la Moda Sostenibile sottoscritto nel 2018 a Katowice durante il vertice dell’ONU sul clima.
Con la Carta per la Moda Sostenibile le aziende firmatarie si impegnano a rispettare le linee guida sancite a livello globale, i concetti e i doveri per chi vuole operare nel settore moda.
Ecco alcuni elementi che la Carta prevede per raggiungere lo scopo di una moda del futuro a basso impatto ecologico:
- La promozione di un’economia circolare;
- Lo sviluppo di materiali innovativi a ridotto impatto ambientale;
- La riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Le maggiori aziende si sono allineate alla tendenza e hanno avviato numerosi studi per avere i nuovi materiali per l’abbigliamento del futuro.
È il caso del brand Rifò che ha lanciato Sustainable Wear Project, un progetto che prevede il riutilizzo dei tessuti riducendo fino al 90% l’uso di acqua e fino al 95% l’emissione di anidride carbonica oltre a non prevedere l’impiego di coloranti chimici.
Non è tutto, per tornare al discorso dei nuovi materiali, l’azienda Re-bello ha studiato una linea ecosostenibile prodotta esclusivamente da fibre di scarto e naturali come quelle del bambù o di faggio.
L’attenzione è anche ai bottoni ed altri inserti. Le giacche in futuro avranno le cerniere, i bottoni e ogni inserto nato dagli scarti delle lavorazioni industriali.
In alcuni casi la nuova moda guarda al settore alimentare e in particolare ai suoi sprechi consistenti. Ad esempio, dall’industria lattiero casearia è possibile riutilizzare la caseina del latte scartato e tramite un processo tecnologico, trasformarla in fibra naturale.
Allo stesso modo, la moda sta cercando di sostituire l’uso della pelle e pelliccia animale con tessuti similpelle resistenti e duraturi.
Sono già molti i marchi che hanno abolito completamente i derivati animali per un discorso etico e perché la pandemia da Covid-19 sta puntando sempre più il dito contro gli allevamenti intensivi.
L’eco-pelle e la bio-pelle oggi si produce dai funghi Muskin, dalla soia o dalla lavorazione del vino.
In conclusione, i vestiti tecnologici del futuro rispondo ad un bisogno, soprattutto dei più giovani, di tutelare l’ambiente e di incentivare la ricerca e gli sforzi tecnologici per rendere la moda sempre più inclusiva e sostenibile.