Considerato quasi unanimemente il più grande interprete di tutti i tempi, nessuno come lui ha lasciato un’impronta tanto potente nella storia del cinema. Fino al giorno della sua apparizione sulla scena, gli attori non parlavano come si parla nella vita, gli attori “recitavano”. La notte in cui debutta, a soli ventitré anni, interpretando il ruolo di Stanley Kowalski nel dramma di Tennessee Williams, Un tram che si chiama desiderio, il lavoro dell’attore cambia per sempre.
Allora sulla scena non c’era uno che fingeva, c’era uno che viveva. Su quel palco c’era uno che aveva un magnetismo animale ipnotico (caratteristica che l’ha reso immortale), c’era uno con il fisico da pugile e la faccia da bambino che ti veniva voglia di abbracciare, c’era uno con una sensualità a tratti femminea mista a una forte virilità che sprizzava da ogni poro. Parte della critica conservatrice di allora urla allo scandalo, altri lo capiscono, ma l’onda travolge tutti. In pochi anni il “metodo Brando” (che altro non era che l’apoteosi del metodo Stanislavskij con il quale si era formato, alla scuola di un’ebrea newyorkese illuminata, l’attrice Stella Adler) viene copiato, ammirato, idolatrato, imitato. I giovani di tutto il pianeta (compreso James Dean, che ebbe una specie di ossessione e di volontà di imitazione nei suoi confronti) cominciano ad atteggiarsi come lui.
E dunque questo è l’anno di un mito scomparso nel 2004, a 80 anni. Il primo luglio saranno infatti vent’anni dalla morte. Cent’anni fa era il tempo del piccolo Marlon, infanzia difficile, rapporti tesi sia col padre che con la madre. Vien fuori un uomo apparentemente immodesto e presuntuoso, tormentato e ribelle. Fu rapito dalla recitazione, uno dei primi attori a frequentare l’Actor’s Studio e a mettere in pratica l’identificazione del metodo Stanislavskij, rinnovando il lavoro dell’attore. Un attore destinato a diventare il più fascinoso e grande interprete d’America, leggenda vivente. Il film con cui raggiunge la popolarità è “Un tram che si chiama desiderio”, diretto da Elia Kazan; nel’53 “Il selvaggio” di László Benedek; nel’54 ancora regia di Elia Kazan, domina la scena in “Fronte del porto”e vince l’Oscar; negli anni sessanta “Pelle di serpente” di Sidney Lumet, “Queimada” di Gillo Pontecorvo, “Gli ammutinati del Bounty” di Lewis Mileston. Del’72 sono “Ultimo tango a Parigi”, capolavoro di Bernardo Bertolucci, e “il Padrino” di Frances Ford Coppola.
Nel’78 guadagnò 19 milioni di dollari per “Superman”. Nel’79 per “Apocalisse now” fu pagato un milione a settimana. Da ricordare ancora tre film, “La contessa di Hong Kong”, accanto a Sofia Loren, diretto da Charlie Chaplin; “Don Juan de Marco– Maestro d’amore”, insieme a Johnny Depp; e il suo ultimo film “The Score” (2001), regia di Frank Oz. Tra un film e l’altro, Brando fu molto attivo anche politicamente, finanziando in parte la candidatura a Presidente di John Fitzgerald Kennedy. Nell’agosto 1963 partecipò alla Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, guidata da Martin Luther King. Brando ebbe tre mogli e 11 figli. Tra questi, Cheyenne e Christian morirono dopo che quest’ultimo uccise il fidanzato della sorella.
Brando morì a Los Angeles il 1º luglio 2004, alle 18: 30 (ora locale), nel Centro Medico dell’Ucla (University of California at Los Angeles) a Westwood; pesava 140 chili, sofferente di diabete, la causa del decesso fu attribuita a una crisi respiratoria, dovuta a un enfisema polmonare che lo affliggeva da tre anni.